Il 29 aprile 2021 si è spento serenamente a casa sua nelle braccia dei suoi figli. il Fante Pio Sartori
Il 4 novembre 2015 al Palazzo del Governo di Trento è stata consegnata la 'Medaglia della Liberazione" anche a Pio Sartori di Verla reduce della divisione Acqui in servizio nelle isole greche di Cefalonia e Corfù durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il giorno 30 maggio per Pio Sartori di Verla, è una data importante da ricordare e da festeggiare: nasce il 30 maggio 1922, ritorna dalla guerra il 30 maggio del 1945 e si sposa il 30 maggio 1951.
Probabilmente il compleanno più bello è stato proprio il giorno del suo ritorno dalla guerra dopo una lunga assenza durata tre anni.
Era il 25 gennaio 1942 quando il giovane Pio, non ancora ventenne, chiamato alle armi dovette partire per Silandro per unirsi al 17 Reggimento Divisione Acqui.
Nell'agosto parti per la Grecia per presidiare e aiutare le truppe italiane situate nell'isola di Cefalonia.
Nel settembre del '43, con la firma dell'armistizio la confusione dilagò tra l'esercito italiano e anche tra le linee della Divisione Acqui che si ritrovò allo sbando: migliaia di soldati, uomini, giovani in terra straniera con un nemico che poco prima era alleato.
Molti vennero fucilati, altri fatti prigionieri e altri dispersi.
Una ventina di soldati, tra i quali anche Pio, nella primavera del '44 riuscì a rifugiarsi ad Itaca presso alcune famiglie di poveri pastori, ma in agosto Pio si ammalò di malaria e si aggravo' a causa di un'enterocolite molto acuta che lo privo' di tutte le forze e lo costrinse a raggiungere altri soldati malati in un rifugio di montagna.
Per 13 giorni non toccò cibo finché la Provvidenza mandò una mandria di asini sui quali furono caricati tutti i malati più gravi.
Arrivati in cima ad una montagna per Pio il dolore era insopportabile, pur sapendo che ben presto gli aerei inglesi che scaricavano armi per i partigiani avrebbero poi caricato i malati per riportarli in Italia, lui non ce la faceva più, si sentiva morire e preferì scendere dall'asino e farsi abbandonare sotto un albero.
Gli altri proseguirono. Poco dopo passò di lì un cappellano militare che lo consolò e rincuorò, gli fece forza e gli promise che sarebbe ritornato con un asino per riprenderlo e caricarlo su quell'aereo. Cosi fu e il 27 settembre 1944 Pio si ritrovò in un ospedale a Bari.
Di quel cappellano che gli salvò la vita non seppe più nulla, nemmeno il nome per poterlo ringraziare. Il nostro soldato Pio pesava 29 chili e dopo otto mesi di ospedale tornò finalmente al suo paese : impiegò sei giorni e sei notti. Arrivò a Verla la notte del 30 maggio 1945. Si sedette sulla panchina del cortile di casa e chissà quali pensieri attraversarono la sua mente e quali emozioni colpirono il suo cuore; rimase li seduto finché vide accendersi una luce. Si arrampicò sul balcone ed corse in camera ad abbracciare la mamma. Si svegliarono tutti, la gioia fu immensa e indescrivibile.
Per Pio ricominciava la vita! Nel '48 fu tra i fondatori della cantina sociale di Lavis e nel 1951 sposò la sua amata Maria.
La sua mente è sempre stata lucida e presente, ha ripercorso gli anni della guerra descrivendo particolari e facendo trapelare emozioni vissute: il dolore per la partenza, per la nostalgia, per la malattia, per la fame ma anche la gioia del ritorno a casa e l'abbraccio con la mamma.
Una vita scandita da forti eventi, belle e brutte esperienze: la sopravvivenza alla guerra, la costruzione di una famiglia, la nascita di quattro figli e la morte per malattia di due di loro, un ictus a 70 anni, ma anche la consapevolezza di essere stato fortunato a festeggiare i 65 anni di matrimonio con la moglie MariaLuigia e di aver conservato la lucidità di poter ricordare e raccontare tutto.
Ivonne Pellegrini
Pietro Pulisci, nato a Villamar (CA) il 20/12/1921 apparteneva al 33° Reggimento di Artiglieria 8ª batteria di stanza a Corfu’.
Durante la cerimonia di conferimento della medaglia d'Onore a un giovane con dolcezza ha risposto così ad una semplice, scontata ma inevitabile domanda: “Sig. Pietro che cosa ha da dire hai giovani?” La sua altrettanto semplice risposta fu: “Dico che quello che abbiamo passato noi, giovani ragazzi della Divisione Acqui, non debba, mai e poi mai accadere mai più; la fame, la sofferenza, la paura di morire…. Voi non potete immaginare cosa ci abbiano fatto passare, queste cose non devono mai più succedere.
Una notizia che non avrei mai voluto inviarvi… all'alba di questa mattina ci ha lasciato il caro Reduce della Divisione Acqui, Francesco FACCIOLI, di Rosegaferro-Villafranca (VR).
Apparteneva al 317° reggimento fanteria della Divisione Acqui a Cefalonia ed avrebbe compiuto la veneranda età di 99 anni il prossimo 2 novembre 2021…
Durante la Cerimonia del 2015 aveva ricevuto la “Medaglia della Liberazione", il 2 giugno 2019 la “Medaglia d'Onore" e l'ultima sua presenza è stata alla Cerimonia Acqui del settembre 2019.
Farò compagnia alla sua grande e bella Famiglia, con le tre figlie, i nipoti e i pronipoti, anche in vostra rappresentanza, al rito funebre, in programma mercoledì 17 p.v., alle ore 10,00.
Un abbraccio affettuoso alla Famiglia Faccioli e a tutti voi.
Claudio Toninel
Ho appena appreso che ANTONIO FRANCO ci ha lasciati. Uno degli ultimi reduci calabresi di Cefalonia. Prigioniero nei lager nazisti, partigiano, decorato di medaglia d'onore. Una gran brava persona. Che la terra gli sia lieve. Un abbraccio ai familiari.
faceva parte del 317° reggimento Fanteria. II battaglione 5ª compagnia.
L'amico Giovanni Quaranta ha curato le sue memorie nel libro “Antonio Franco, Partigiano in Grecia e internato nei lager Nazisti"
In una cartolina postale del 3 giugno 1943 scrive: " Carissima Mamma ti scrivo questa mia presente cartolina quanto per farVi sapere il mio ottimo stato di salute e così meglio spero che questa mia presente trova Voi di bona salute. Basta vi prego che state tanquilli che sto bene. Basta non avendo altro da dirVi e mi resta di salutiarVi. Saluto fratelli, sorelle e tutti. Un saluto a Voi assieme al Padre. Vostro caro figlio Antonio. (op)
Il 22 Febbario 2021 all’età di 102 anni e nove mesi, nella tarda serata, ci ha lasciato il Cav. Della Repubblica Marco Botti appartenuto al 17° RGT.FTR 1° BTG Compagnia Comando.A quest’ora avrà già incontrato i suoi compagni commilitoni, li avrà salutati calorosamente, e avrà scambiato con loro i ricordi dei momenti tragici ma anche di quelli felici di quando venivano chiamati, in terra di Grecia “l’armata sagapò”: l’armata dell’amore.
Per anni si è prodigato assieme a Mario Pasquali di mantenere vivo il ricordo e la memoria dei suoi compagni trucidati sulle idole Jonie di Cefalonia e Corfù. Ora, Il miglio modo per ricordarlo è pubblicare di seguito il racconto della sua “fucilazione”.
Dalla concisa ricostruzione degli avvenimenti sembra che fui io a gridare «io essere fascista», invece fu un mio commilitone che fu anche la prima vittima di quel massacro. Forse per primo aveva capito le cattive intenzioni di quelle SS che, allontanatesi le truppe che ci avevano fatto prigionieri, avanzavano verso di noi con mitra spianati e dito sul grilletto.
Eravamo oltre 300 giovani in quel vallone presso Kardakata.
Appena il nostro soldato a braccia alzate si staccò dal gruppo con quel grido «Io essere fascista» il tedesco che gli era più vicino lo fulminò con una mitragliata.
Come fosse un segnale, tutti i mitra di quelle iene scaricarono proiettili su di noi. Ancora sono nelle mie orecchie urla, grida, suppliche, lamenti, preghiere, maledizioni, invocazioni.
Mi ritrovai a terra bocconi con due commilitoni sopra di me: uno morto e uno ferito.
Rimasi in quella situazione per oltre 6 ore prima di potermi allontanare… ecc.
In quel vallone presso Kardakata una commissione internazionale guidata da padre Ghilardini, nostro capellano, nel 1946 rinvenne 306 scheletri, con molti dei teschi fracassati dai colpi di grazia e le ossa parzialmente bruciacchiate, senza piastrine, impossibili da riconoscere. (A Cefalonia i tedeschi cercarono di occultare le stragi anche bruciando i cadaveri cospargendoli di benzina e petrolio).
Così tornarono in Patria, nel sacrario di Bari, i giovani italiani che avevano scelto per primi la Resistenza contro i tedeschi.
Il dott. Coppini Bruno, tenente medico, lo conobbi sul fronte greco-albanese in mezzo ai soldati feriti che urlavano dal dolore e che Egli, instancabile, operava senza sosta lì dove glieli portavano i portaferiti, a cielo aperto.
Quanti ne salvò da morte certa!
Lo testimoniava il suo grembiulone color rosso sangue: originariamente era di colore bianco.
A Cefalonia il gen. Gandin lo impegnò nelle trattative coi tedeschi vista la sua buona conoscenza della lingua tedesca.
E inoltre fu mandato, sempre dal nostro Comando, con un’autoambulanza a soccorrere i numerosi feriti tedeschi durante i primi scontri a noi favorevoli (i tedeschi erano privi di medici sull’isola).
Questo lo salvò dalla fucilazione e così, tornato in patria, continuò la sua benemerita opera diventando lo stimato primario dell’ospedale di Borgotaro che tutti ancora ricordano.
Bottazzi Lino, ora deceduto, rientrò in patria e nel 1946 attraversò con un taxi tutta la provincia di Parma (da San Secondo ad Albareto) per sincerarsi se ero ritornato a casa, in quanto tutti mi davano per morto, anche i miei familiari. (In effetti quando rientrai a casa ero talmente malridotto (anche per la malaria che mi perseguitava) che mia madre mi chiese «Chi sei?». Non mi aveva riconosciuto!).
Nella foto pubblicata sono con Giovanni Bersanelli di Berceto pure lui sopravvissuto. Grazie alla generosità e all’intraprendenza di suo figlio Mauro di Collecchio, nel 2010, a 92 anni, sono tornato a Cefalonia.
Assieme al Presidente Mario Pasquali, abbiamo reso omaggio ai nostri compagni caduti, ho lasciato una targa in memoria di quanti non sono tornati e di riconoscenza per la popolazione.
Abbiamo trovato e parlato con tre testimoni oculari di quelle stragi (allora avevano circa 10 anni) ed è stato emozionante sentire che a Kardakata ancora si ricorda che un soldato, pieno di sangue, era uscito da sotto i morti …ecc.
P.S.: le devo anche dare testimonianza che la vostra rubrica Gente di Provincia è molto seguita: il giorno successivo alla pubblicazione ho ricevuto numerose telefonate da conoscenti ma anche dai familiari di caduti (una da Trento).
Fabrizio Prada
Brenno Lodi a 19 anni si ritrovò con la Divisione Acqui nell’isola greca di Cefalonia il fatidico 8 settembre 1943. Lodi, tipografo dell’Accademia Militare di Modena negli anni successivi alla guerra (stampava libri di testo per ufficiali) era sopravvissuto al massacro di Cefalonia per mano dei tedeschi.
L’allora giovanissimo soldato di fanteria Lodi fu catturato e costretto a vivere prigioniero in diversi campi militari in Europa. Si commuoveva, Brenno, quando ricordava l’orrore della prigionia e di quanto aveva vissuto.
Chiamato alle armi nel febbraio 1943 partì in treno per la Grecia, da Mestre. Dopo alcuni cambi, arrivò a Sami, un piccolo porto dell’isola di Cefalonia.
Dopo la battaglia di Cefalonia, fu preso prigioniero, poi, dopo un viaggio in treno di circa un mese all’interno di vagoni bestiame, fu portato al campo di prigionia, a Pinsk, in Bielorussia. Fu trasferito nella Prussia Orientale, e infine in Polonia, dopo un’epidemia di tifo, fu impiegato per seppellire tantissimi cadaveri.
La liberazione arrivò il 9 maggio 1945 a Stutov, vicino a Danzica, in Polonia. Fu liberato dai russi. Venne portato a Brest, al confine tra Polonia ed ex Urss, in un campo di smistamento e dovette attendere fino ad ottobre per ritornare a casa. (OP)
Musoni Eligio classe 1920 ci ha lasciati. La città di Mantova perde così l’ultimo reduce della sua provincia che con la Divisione Acqui
aveva combattuto a Cefalonia nel settembre 1943 salvandosi dalla carneficina che i Tedeschi posero in atto a danno di quasi 5.000 soldati italiani. Dopo i combattimenti la Divisione Acqui fu costretta alla resa e i tedeschi passarono per le armi quasi tutti i soldati che venivano catturati o si arrendevano.
Eligio faceva parte della 2ª batteria del III gruppo da 75/27 C.K. contraereo situato a Cima Telegrafo proprio dove ora sorge il Monumento ai Caduti della Divisione Acqui. In loco ci sono ancora i ruderi della casermetta della batteria e un altarino fatto costruire dalla famiglia del capitano Amedeo Arpaia, comandante di Musoni, che fu fucilato assieme ad altri 128 ufficiali il 24 settembre 1943 alla famigerata casetta Rossa. Scampato alla morte è stato fatto prigioniero e inviato nei lager tedeschi di Minsk, in Russia.
Nel 2013 ha partecipato in qualità di testimone al processo nei confronti del sergente tedesco Alfred Stork per aver comandato il plotone di esecuzione colpevole di aver fucilato gli ufficiali della Acqui, processo che poi condannerà il sergente, di 80 e più anni, in quanto colpevole di aver obbedito a ordini illeggittimi.
Premiato con diverse onorificenze dalla prefettura mantovana, Eligio è sempre stato iscritto alla Associazione Nazionale Divisione Acqui, con la quale al fianco del presidente di Sezione, Dino Borgonovi, ha sempre partecipato con dedizione alle manifestazioni in ricordo dei suoi compagni che non tornarono in patria e a tutti gli altri soldati che ha visto morire o che sono rimasti uccisi dalla ferocia tedesca lontano da lui. Il suo nome è ricordato a pagina 323 del libro “L’eccidio di Cefalonia” di padre Romualdo Formato, all’interno dell’elenco dei componenti della sua batteria. Una sua scheda è conservata nell’archivio dell’istituto Storico Autonomo per la Resistenza dei Militari all’Estero, presso l’università di Arezzo a sua perenne memoria. Al funerale sarà accompagnato nel suo ultimo viaggio dalla bandiera della “Acqui” della sezione di Mantova. L’Associazione Nazionale Divisione Acqui si stringe idealmente ai suoi famigliari in questo triste momento.
I funerali si svolgeranno in data odierna con partenza dall’ospedale civile di Mantova per la chiesa di San Pio X con inizio della funzione alle ore 10,00.
Dino Borgonovi
«Se sono vivo, lo devo solo a quelmio compagno che, colpito a morte, diventò il rifugio sotto il quale riuscii a nascondermi»: Gilberto Cercereri De Prati ha 92 anni, abita a Colognola, e la sua storia di artigliere sul fronte greco-albanese nonl'ha mai raccontata.
Al collo il fazzoletto della Divisione Aqui, sul capo il berretto, nel cuore il ricordo di quel 25 aprile 1945 che non visse in Italia ma da prigioniero tedesco in Grecia e tra le mani le due croci al merito di guerra che testimoniano la prigionia.
Quante vite ha avuto Carcereri De Prati? Almeno 4, partendo dall'aver casualmente schivato la Russia che aveva inghiottito suo fratello Giobbe.
«A Bolzano, al 4° Artiglieria, da gennaio'43, mi addestrarono per fare il marconista in Russia. In Sicilia, però, gli americani spingevano e ci fecero partire per l'isola salvo poi, a Brindisi, dirottarci sulla Grecia con la Divisione “Brennero”. Arrivammo a Giànnina, sede delComando del 26° Corpo d'Armata, a luglio.” Siccome un soldato alfabetizzato era una rarità», racconta, «venni impiegato come dattilografo. La caserma stava in una scuola elementare, a un passo dal presidio tedesco».
L'8 Settembre cambiò le cose: «Non appena si seppe dell'armistizio i tedeschi bloccarono la strada tra Giànnina e Larissa.Ci fecero tutti prigionieri e il comandante tedesco impose la consegna delle armi promettendo il rientro in Patria. Ci inquadrarono, e ci fecero marciare per 300 chilometri per raggiungere Larissa. Furono giorni di fame». Che le cose non stessero esattamente come gli exalleati raccontavano, Carcereri De Prati e i suoi compagni lo capirono dopo u npo': «Buttaronogli ufficiali su carri ferroviari e molti soldati su alcune barche: i primi erano destinati ai campi di concentramento in Germania, gli altri (esattamente come avvenne ai soldati italiani di stanza nelle isole greche) vennero bombardati in mare.
Anche così, sul fronte greco-albanese, scomparvero oltre 25 mila italiani. A me andò bene», racconta l'anziano reduce, «e con tanti altri fui rimesso in fila per tornare a Giànnina. Eravamo preziosi», spiega Carcereri De Prati, «come scudi umani dei tedeschi. Venne organizzato il battaglione
“Ita Bau Bataillon”, impiegato sia nella sistemazione delle strade che venivano fatte saltare dai partigiani greci e albanesi, che per proteggersi durante gli spostamenti. Eravamo bersagli inermi, cioè gli scudi per i tedeschi in fuga».
Il tempo passava, il cibo era sempre meno: «Da mezza pagnotta a persona si passò ad una in quattro», racconta Carcereri De Prati, ed i tedeschi provarono a risalire la litoranea per raggiungere Trieste prima e l'Austria poi.
«I soldati italiani costituivano la difesa ideale dalle pallottole deic ecchini albanesi e greci che, sulle montagne, sparavano contro qualsiasi divisa.Durante quella marcia, mi salvai solo perché, nel corso di un attacco nella tratta tra Elbasan e Tirana, mi nascosi sotto ilcorpo di un commilitone colpito a morte. Fu un'esperienza tremenda che non so quanto possa essere durata: venni fuori da quel nascondiglio umano solo quando sentii solo silenzio”.
Scattò allora la fuga: «Sapevo che in Albania c'erano più italiani che albanesi e sapevo che gli americani stavano organizzando i rientri al porto di Durazzo». Passarono mesi, «e riuscii a sopravvivere perché, siccome avevo imparatoa fare il meccanico, lavorai con tre commilitoni per i militari albanesi. Ci trattarono sempre bene ma alla vigilia della partenza per Durazzo tentarono di rapirci per tenerci là». Il quartetto riuscì però a sfuggire e a raggiungere il porto: «Quante donne partirono con noi!
Per sfuggire alla povertà tantissime donne si accordarono coi soldati italiani raccontando agli americani di essersi sposate con loro. Era l'autunno del 1945 quando approdai a Taranto. Qualche giorno dopo, tornai finalmente a casa.
Due giorni fa ci ha lasciati anche Giovanni Tolazzi di Poggio Udinese.
Nato l'8 febbraio 1922, aveva fatto parte della Divisione Acqui ed era scampato all'eccidio di Cefalonia. Purtroppo non era negli elenchi dell'Associazione e non conoscendolo non possiamo dire molto di più su questa persona, comunque riteniamo sia giusto ricordarlo in questo sito perchè appartenuto in un modo o nell'altro al nostro importante sodalizio.
Ora riposerà in pace assieme ai suoi compagni e commilitoni.
È morto il 12 febbraio 2020 l'ultracentenario originario di Sorradile Daniele Flore. Aveva 102 anni e il successivo 15 aprile ne avrebbe compiuti 103.
In questi ultimi anni era ospite della casa di riposo di Ghilarza.
Flore, in conseguenza dei fatti dell'8 settembre 1943, visse la triste e dolorosa vicenda di Cefalonia, dove pur salvandosi dall'eccidio fu catturato dai tedeschi e trasferito in un campo di prigionia. Successivamente liberato dai russi, fu trattenuto prigioniero da quest'ultimi.
Chiamato alle armi il 22 maggio 1938, dapprima in forza al 1° Reggimento Genio Terza compagnia minatori partecipa nel giugno del 1940 alle operazioni belliche svoltesi alla frontiera alpino-occidentale.
Poi, dal dicembre del 1940 all'aprile del 1941, alle operazioni alla frontiera greco-albanese con la 31esima compagnia artieri e, infine, dal novembre del 1942 all'8 settembre del 1943, alle operazioni di guerra nello scacchiere balcanico, dove fu fatto prigioniero.
Nel lager Daniele Flore trascorse circa un anno. Fu liberato dai militari russi, che lo internarono per due anni vicino a Minsk. Nel 2015 fu insignito della medaglia di Liberazione dal presidente Sergio Mattarella.
Sono assolutamente felice di aver istruito la domanda per fargli avere la medaglia della Liberazione e per questo ringrazio il personale della casa di riposo per la preziosissima collaborazione. (ndr)
Ci ha lasciati il nostro Reduce Libero Cosci. Libero, che aveva da poco compiuto i 100 anni, si trovava a Cefalonia con la Divisione Acqui ed era nel reparto genio TRT. Si salvò dall'eccidio che i tedeschi compirono sui soldati italiani che sia arrendevano riuscendo a salvarsi perché creduto morto. Rimase sei ore sotto i cadaveri dei compagni fucilati dai nazisti, poi fu trovato da gente del posto e accudito e curato.
Finì comunque per essere catturato e messo in campo di conventaramento nella cittadina greca di Giannina.
Fuggito da quel campo con l'intento di raggiungere l'Italia a piedi , ma dopo un certo periodo passato allo sbando fu catturato dai partigiani titini e chiuso nel campo di concentranto di Borovnica in Yugoslavia.
Raggiunse la Grecia per poi finire in un campo di concentramento tedesco a Giannina, da cui riuscì a fuggire iniziando un lungo viaggio a piedi che lo avrebbe dovuto riportare a casa. Dopo oltre due anni e mezzo passati tra le montagne dei Balcani, fu invece catturato dai partigiani titini e rinchiuso per tre mesi nel campo di concentramento di Borovnica. Riuscì atornare a casa dopo lunghe peripezie e sofferenza che l'avevano ridotto a pesare 45 chili.
All’età di 98 anni e 7 mesi mio padre Vittorio Brundu, superstite di Cefalonia, ha lasciato questa Terra, dopo un lungo ed intenso percorso della sua vita, che si è conclusa il 15 agosto scorso. Suo padre Antonio era nato a Ploaghe, in Sardegna e, a suo tempo, era stato trasferito a Malfa, nell’isola di Salina, Eolie, come sottoufficiale della Guardia di Finanza.
Quando conobbe mia nonna Giuseppina Marchetti non lasciò più l’isola eoliana. Dalla loro unione matrimoniale nacquero quattro figli: Giovanni, Luigi, Lucia e Vittorio. Nel 1942 papà Vittorio è partito per la guerra e venne assegnato alla Divisione Acqui (17° Reggimento Fanteria), inviata sul fronte in Grecia, proprio a Cefalonia dove, dopo l’armistizio del famigerato 8 settembre 1943, vennero trucidati dai tedeschi circa diecimila soldati italiani.
Mio padre riuscì a salvarsi dall’eccidio perchè si trovava nella città greca di Janina, insieme ad altri commilitoni, per partecipare ad un corso di telegrafista. Ma, subito dopo, venne fatto prigioniero di guerra e, su un treno merci carico di altri militari, furono portati in un campo di concentramento presso Dresda, in Germania, dove rimasero sino al 1945. Quindi, con la fine della guerra, ritornò a casa.
Quel giorno, sbarcato nel porto di Rinella, nell’isola di Salina, si è incontrato con la madre che lo attendeva nel Santuario di Valdichiesa dedicato alla Madonna del Terzito. Ma in quel medesimo giorno di gioia, è pervenuta la triste notizia della morte del fratello Luigi in Germania, che aveva prestato il suo servizio come marò a Pola ed a Corfù.
I ricordi degli anni anni della guerra sono rimasti sempre impressi nella memoria di mio padre e, spesso, in famiglia, parlava della sua drammatica esperienza bellica e delle sofferenze e delle privazioni che ha patìto. Le raccontava affinchè ciò che ha subìto non si ripeta mai più e che venga apprezzato quello che uno possiede e che venga costruito con il sacrificio del proprio lavoro svolto con dedizione ed onestà.
Nel 1946, a 24 anni, ha iniziato a svolgere la sua attività lavorativa in alcuni Uffici Postali e, in modo particolare , in quello di Malfa, suo paese natìo, per un totale di 42 anni di servizio insieme alla moglie Nunzia ed entrambi si sono sempre dedicati alla famiglia con vero e profondo amore.Nel 1946, a 24 anni, ha iniziato a svolgere la sua attività lavorativa in alcuni Uffici Postali e, in modo particolare , in quello di Malfa, suo paese natìo, per un totale di 42 anni di servizio insieme alla moglie Nunzia ed entrambi si sono sempre dedicati alla famiglia con vero e profondo amore.
Il 2 giugno del 1982 gli è stata conferita l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana dal Presidente Sandro Pertini, in considerazione di particolari benemerenze. E proprio specie nel suo paese di Malfa è stato apprezzato e stimato per la sua indole dolce, delicata, garbata e gentile, sempre con la moglie accanto. Quest’anno, nel mese di luglio, ricorreva il loro 72° anniversario di matrimonio, dal quale sono nati cinque figli (le due gemelle Pina ed Ester, Antonio, Santina e Maurizio).
Sono stati genitori e nonni esemplari, affettuosi ed amorevoli, veri punti di riferimento per tutti i familiari, i figli, i nipoti e i pronipoti, che faranno tesoro del loro buon senso e della loro saggezza.
Antonio Brundu
Ci ha lasciati Carlo Santoro.
Campobassano, era ufficiale del 1° Battaglione del 17° reggimento fanteria – compagnia comando – ha attraversato l’orrore della guerra, lo spettro dei campi di sterminio, con il fiato della morte sul collo. Carlo Santoro la sua vita al fronte l’ha narrata con schiettezza e semplicità come fosse la più banale del mondo e invece lui ha partecipato al cambiamento del mondo con la Resistenza. Una durissima resistenza, a Cefalonia, isola greca del Mar Ionio che nella Seconda Guerra Mondiale venne occupata dagli italiani.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 gli italiani, raggruppati nella Divisione Acqui, tra cui anche Carlo Santoro, ricevono l’imposizione dai tedeschi di arrendersi. Il generale Antonio Gandin chiede, sotto forma di referendum, il da farsi alle truppe che decidono di andare avanti, di proseguire la battaglia in cui muoiono 1250 soldati italiani a cui si aggiungono 65 tra ufficiali e sottufficiali. Dopo qualche giorno gli italiani, senza rifornimenti, e attaccati anche dagli aerei sono costretti alla resa.
Ma non finisce qui perché i tedeschi fucilano centinaia di soldati e la stragrande maggioranza degli ufficiali. Quei giorni di settembre passano alla storia col nome di eccidio di Cefalonia. Pochi i militari scampati che poi vengono deportati, come prigionieri, in Germania. Giorni terrificanti, che Carlo Santoro ricorda benissimo. Soprattutto quel 23 settembre 1943 quando riuscì a scampare la morte per ben 3 volte.
A malapena riesce a rendersi conto di quanto gli sta accadendo. Intanto la radio inglese annuncia che la divisione Acqui, a Cefalonia, è stata sterminata.
Nessun contatto con l’Italia, ma nel frattempo i tedeschi propongono ai superstiti un ultimatum: combattere con loro o contro di loro. Il generale Gandin propone una specie di referendum. Non era mai successo prima. Carlo Santoro e gli altri superstiti decidono per amore verso la loro bandiera di portare avanti la battaglia. Purtroppo la situazione è critica, i tedeschi continuano a mietere vittime e quando tutto sembra ormai perso Carlo Santoro riesce ancora una volta a rimanere in vita. Carlo, dopo Cefalonia, viene deportato in Germania.
Alla fine della guerra rientra a Campobasso, sua città natale, e passerà la sua vita nella Memoria dell'eccidio della Divisione Acqui e nel ricordo dei compagni visti cadere dalla ferocia tedesca. (tratto da http://colibrimagazine.it/ di Giancarlo Carlone)
All’età di 96 anni ieri mattina alla Casa di Riposo di via Salvo d’Acquisto 5 è spirata una figura leggendaria per Calcinato, Angelo Giorgio Scalvini, da tutti conosciuto come Gino, uno degli ultimi sopravvissuti all’eccidio nazista della Divisione Acqui a Cefalonia, una epopea che nel 2003 aveva condensato con accenti commoventi nella pubblicazione del suo diario «Prigioniero a Cefalonia» (uscito per i tipi di Mursia editore), volume tuttora apprezzatissimo da critica e pubblico.
Militare del regio esercito, Scalvini fu assegnato alla Acqui il 13 gennaio 1943: l'8 settembre aveva vent'anni e si trovava con i suoi commilitoni a Itaca. Il 9 a Samo partecipò alla storica «consultazione referendaria», pronunciandosi con i commilitoni per la resistenza agli ormai ex alleati tedeschi.
La repressione fu durissima e costò ai nostri quasi 1.500 morti in battaglia, 5.000 giustiziati, 3.000 prigionieri destinati poi a scomparire negli abissi marini a bordo delle navi tedesche che urtarono nelle mine disseminate un po' ovunque.
In totale i soldati morti furono 9.406. Scalvini trascorse la notte successiva al massacro nascosto su un albero a pochi metri dal mare. In seguito saltò con altri militari su una scialuppa di salvataggio, affrontando poi disavventure infinite. Catturato dai tedeschi, fu caricato su un treno insieme ad altre centinaia di prigionieri: destinazione prima Barauka, in Bielorussia, poi Riga, poi Danzica. Infine il ritorno a casa, su mezzi di fortuna. A Calcinato giunse, stremato nel fisico e con la morte nel cuore, il 10 settembre 1945.
Ma più forte delle strazianti immagini che aveva negli occhi fu la voglia di ricominciare, l'indistruttibile attaccamento alla vita, che per il reduce significherà una famiglia e un lavoro ai quali ha dedicato i lunghi e gioiosi anni dalla ricostruzione ad oggi. Per decenni, finché la salute glielo ha consentito, Scalvini ha partecipato da protagonista a tutte le commemorazioni di quella tragedia che segnò l’inizio della resistenza al nazifascismo. Infaticabile la sua opera di testimonianza nelle scuole di tutta Italia a perenne monito nei confronti delle nuove generazioni. La salma si trova all’obitorio della Casa di Riposo di Calcinato, vegliata dal figlio Stefano con Teodora e dal cognato Adelio con Claudia.
Nel rispetto dell'ordinanza governativa per contenere il coronavirus, la benedizione si terrà in forma strettamente privata lunedì 23 marzo alle ore 10.30 al cimitero di Calcinato, dove Angelo Scalvini verrà poi sepolto. “Scende nella notte la neve/ sul dur treno./ Gemo dal freddo/ pensando alla sorte/ che m’ha portato sì grande dolor./ Vola il pensiero alla mamma./ E poi desolato mi metto a dormir.” si legge nel necrologio.
1.8001907 F. MAR
Con le parole che seguono, l sezione Anpi “A Del Gobbo”, ieri sera ha reso nota la scomparsa di Alberto Di Bernardini: “E’ con profondo dispiacere che comunichiamo a tutti gli iscritti la
scomparsa di Alberto Di Berardini, reduce di Cefalonia e internato militare dopo il suo rifiuto di aderire alla Repubblica di Salo’. A lui va il nostro ringraziamento per aver anteposto
il valore della democrazia alla sua incolumità, scelta che lo ha portato alla prigionia in un campo di concentramento.
Grazie Alberto ! “.
A gennaio 2016 nell’aula consiliare di Palazzo Colonna, dal Commissario prefettizio, Caporale, fu consegnata all’ex appartenente della Divisione Acqui, la medaglia d’oro della Liberazione. La Medaglia d’Onore è stata conferita ai cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra. Tra questi Alberto Di Bernardini, l’eroe di Cefalonia che, marinese, classe 1923, era l’unico castellano ancora in vita ad aver combattuto in quella tragica spedizione in cui, dopo l’8 settembre 1943, quando fu annunciato l’armistizio di Cassibile che sanciva la cessazione delle ostilità, persero la vita migliaia di giovani italiani che si opposero al tentativo tedesco di disarmo. A lui, in una delle circostanze più tragiche della seconda guerra
mondiale, il merito di aver tratto in salvo, grazie a un’intuizione, dodici commilitoni dei quali ha poi purtroppo perso le tracce. Gesto possibile grazie alla sua conoscenza, seppur rudimentale, della lingua tedesca che gli permise di capire come gli ex alleati dell’Italia fascista, presenti a Cefalonia insieme agli uomini della Divisione Acqui, avrebbero di lì a poco minato le navi sulle quali avevano fatto salire i militari italiani con la promessa di tornare a casa.tratto da //www.paconline.it/wordpress/2020/03/21 di Maurizio Aversa)
Ieri 30 gennaio ci lasciato Riccardo Piva di anni 98. Si è spento serenamente nella sua casa di via del Porto con la stessa dolcezza con cui ha sempre vissuto. Non può non rimanere nei nostri cuori questa persona di grande disponibilità e di bontà assoluta. Essere mancato vicino al 28 gennaio (giornata della Memoria) consacra la sua anima a testimone del tempo e della storia per l'impegno profuso alla divulgazione della memoria degli amici persi nella Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù nel settembre 1943, ed anche di tutti gli altri soldati.
É stato per anni il geloso e superbo custode della Bandiera della nostra sezione che lo accompagnerà nel suo ultimo viaggio. Insieme abbiamo partecipata a molte cerimionie, come insieme abbiamo accompagnato altri reduci che lui ora raggiunge per riunirsi con i suoi compagni della “Acqui"
I reduci sono stati il mio punto di riferimento durante il mio percorso nella presidenza della sezione bolognese dell'Associazione Acqui. Per la sua storia pubblico il diario di Riccardo che ci aiuterà a ricordarlo sempre.
Ci ha lasciati il simpatico Gino Marchesin.
Gino è nato nel 1923 a La Salute di Livenza, in provincia di Venezia, dove ancora viveva.
Persona amabilissima disponibile e profondamente grata a chi lavorava per il ricordo della “Acqui":
Nel 1943 era di stanza a Corfù e faceva parte della 33ª compagnia autieri ed era l'autista della Bt. 240 da 149/35 .Sorpreso dall'armistizio a Porto Edda in Albania, dov'era militare, partecipò in seguito alla resistenza contro l tedeschi nell'isola di Corfù con gli uomini del reggimento del colonnello Bettini. Fatto prigioniero dopo la caduta dell'isola, iniziò una lunga odissea nei territori sotto il dominio del Reich, trascorrendo lughi mesi nel lager di Belgrado.
Ci ha lasciato un importante testimonianza con il suo libro “Io, schiavo di Hitler. L'odissea di un giovane militare da Corfù al lager di Belgrado", a cura di Ugo Perissinotto, Ed. Nuova Dimensione, 2008.
Nel libro descrive le tappe dell'odissea dopo la cattura: Corfù, Igoumenitsa, Joannina, Florina, Belgrado, Nis, Osljek, Radkersburg, la liberazione e il ritorno a casa.
Dal suo libro: “Mi ricordo che un giorno, dall'alto della fortezza abbiamo visto arrivare cinque o sei aerei italiani da trasporto ancora con i fasci littori sotto le ali. Siamo usciti tutti fuori esultando, pensando che fossero arrivati finalmente i soccorsi e ci siamo messi a festeggiare: “Arrivano gli italiani/ Arrivano gli italiani". Erano 1 giorni del repeton, del finimondo. Altro che soccorsi, ci hanno dato 'na fracada de bombe par tutti i cantoni! C'erano i tedeschi dentro gli aerei italiani!"
18/01/19 OP
Il 30 novembre è venuto a mancare Elio Sfiligoj.
Viveva in Slovenia, ma era sempre disponibile a collaborare con chi svolgeva ricerche sulla Divisione Acqui.
Persona gentile, colta e profonda era rimasto collegato per molto tempo con l'isola di Cefalonia e con gli storici del luogo e gli ex partigiani.
Suo il libro:" Qui marina Argostoli Cefalonia" nel quale ricostruisce in modo reale quanto avvenne a Cefalonia nel settembre 1943.
Ha scitto anche l'inedito “Così salvammo il porto di Argostoli" del quale ha voluto gentilmente donarmene una copia.
Ci mancherà come ci mancano gli altri che già ci hanno lasciati ma impiegherò tutto il mio impegno perchè siano sempre ricordati. (OP)
La comunità di Sona ha dato ieri l'ultimo saluto al reduce di Cefalonia Mario Mich, che il 12 settembre aveva compiuto 99 anni. Penultimo di cinque figli, era nato a Tesero, in Trentino, nel 1920 ed era rimasto orfano di padre in tenera età.
A ricostruire la sua storia la figlia Marisa, che racconta: «Non conosco molto di ciò che ha passato in guerra, non ne parlava volentieri, ma quelle poche volte ripeteva sempre: “Quanti morti!". Di certo so che. per tutta la sua lunga vita, non ha mai potuto dormire al buio; teneva una piccola luce accesa tutta la notte per scacciare quegli incubi che non hanno mai smesso di torrnentarlo.
E quando a volte ci mettevamo a tavola e gli chiedevo: “Hai fame?", mi rispondeva: “Ho appetito, la fame è un'altra cosa"». Era l'aprile del 1941 quando Mario Mich partì alIa volta della Grecia nella Fanteria da Montagna della Divisione Acqui. Sopravvissuto al martirio di Cefalonia, venne fatto prigioniero dai tedeschi e deportato.
Attraversò a piedi lex Iugoslavia fino alla città diOsijek, dove fu ricoverato per due mesi in un ospedale, perchè i suoi piedi erano distrutti. Successivamente, f'u trasferito nel campo di Buchenwald nella Germania nazista.
Poichè conosceva il tedesco, che in Trentino si studiava a scuola, veniva impiegato come interprete per comunicare con gli altri prigionieri italiani.
La conoscenza della lingua gli permise di scoprire ascoltando le conversazioni de quartier generale tedesco, che stavano arrivando gli americani. Nella concitazione del momento, riuscì a fuggire insieme ad alcuni compagni.
Muovendosi soprattutto di notte e rifocillandosi quando possibile presso alcune famiglie tedesche che offrivano sostegno ai prigionieri in fuga, attraversò la Baviera e proseguì fino a casa, in Trentino.
“Quando finalmente arrivò a casa", racconta la figlia Marisa, “pesava 35 chili. Dopo un lungo periodo, necessario
per rimettersi, arrivò a Verona, dove viveva la sua sorella maggiore e dove il cognato gli aveva trovato lavoro, come falegname, presso la sua azienda. Qui conobbe mia madre, vicina di casa della sorella e nell'ottobre del 1956 si sposarono. Mario Mich partecipava sempre alle cerimonie e alle serate organizzate dall'Associazione Divisione Acqui a cui era iscritto, associazione che al funerale era rappresentata dal presidente della sezione di Verona Claudio Toninel presente con il labaro. Il reduce era molto conosciuto a Sona, dove abitava da moltissimi anni, e presenziava sempre anche agli eventi commemorativi che si svolgevano nel Comune. (da L'Arena di Verona – provicia del 17.9.19 di Federica Valbusa).
I funerali di Vasco Faccini si sono celebrati mercoledì a Isola della Scala dove «nonno Vasco» — come lo chiamavano tutti — ha sempre vissuto, «facendo il contadino» racconta a Corriere.it uno dei due figli, Lucio, 67 anni (l’altra è Maria, 64).
Sulla bara (è ancora la cronaca dell’Arena) sono stati deposti il Tricolore e il fazzoletto della Acqui dove Faccini si era arruolato a 19 anni, prima di stanza a Merano e poi a Corfù. Come avesse fatto a sopravvivere all’eccidio il fante (poi catturato dai tedeschi e finito in Bielorissia) lo ha raccontato in un libriccino — pubblicato con il patrocinio del Comune e intitolato «Con la morte sempre in agguato» — di una ventina di pagine scritto con il nipote Luciano Boldrini, anch’egli figlio di un soldato dell’Acqui, Ettore. (da www.corriere.it di Alessandro Fulloni) 02/07/19
Jose nascosto tra i cadaveriGiuseppe Carradore — tutti lo chiamavano Jose — avrebbe compiuto 100 anni tra pochi mesi. A «il Giornale di Vicenza» è il figlio Guido a raccontare come il fante della Acqui sia scampato all’eccidio di Cefalonia.
«Mio padre mi disse che i nostri vennero messi tutti in fila per essere fucilati. Lui — è il ricordo — era fra gli ultimi». Momenti terribili. La sventagliata di pallottole lo fece cadere sul terriccio. Altri corpi gli caddero addosso, come si vede in certe drammatiche foto in bianco e nero che raccontano quel che accade in quei giorni.
Jose si riprese da quello choc dopo un giorno e mezzo, intontito, incredulo, ferito, esausto, sconvolto. Al calare della notte — è ancora il racconto affidato al giornale vicentino — Carradore, insieme ad un compagno di Brescia, si allontanò da quell’orrore.
I due si diressero verso le montagne, dove continuarono a nascondersi in stalle e fienili. «Ogni tanto riuscivano a mangiare qualcosa — prosegue il figlio Guido — grazie alla generosità dei contadini greci». Rimasero nascosti per un anno, fino a quando seppero che i nazisti si erano ritirati. Fu in quel momento che scesero a valle, vennero imbarcati alla volta di Taranto e seguirono gli Alleati — rivestendo la divisa e tornando a combattere — che avanzavano verso il nord Italia.
«Quando tornò a casa, tutti erano convinti che fosse morto dal momento che non dava notizie di sé da anni – dice ancora Guido Carradore -. Lavorò come operaio specializzato alle Officine Pellizzari fino alla pensione». A Corriere.it il nipote Matteo, al quale era legatissimo, racconta che il nonno era assai riservato. E di quelle giornate terribili, dolenti, non parlava volentieri. (da www.corriere.it di Alessandro Fulloni) 02/07/19
Come ogni reduce di guerra, Ferdinando Geremia conservava i ricordi di quegli anni duri in un cassetto della memoria assai difficile da riaprire. Troppo buia, per l’esercito italiano, la pagina di storia sull’eccidio di Cefalonia e Corfù.
Oltre ai figli, Marco e Patrizia, c’era riuscito di recente l’Iveser (istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea) con una rara intervista rilasciata pochi mesi fa a Sandra Savogin. Giusto il tempo di fissare, un’ultima volta, quella testimonianza in prima persona. Venerdì, infatti, si è spento nella sua casa a 98 anni l’ultimo veneziano della divisione Acqui dell’esercito italiano.
Un artista strappato alla sua passione e chiamato giovanissimo alle armi. Che, a guerra conclusa e a fucile deposto, ha potuto e voluto riprendere in mano il pennello per dare sfogo alla sua genialità.
Lontano ormai dal sibilo delle pallottole e dagli orrori del campo di concentramento. Nato nel 1921, Ferdinando Geremia è cresciuto tra le calli e i campi di Dorsoduro, all’Angelo Raffaele. Insieme alla madre Teodolinda, casalinga, e al padre Teodoro, portalettere. Non si allontana dal sestiere nemmeno per andare a scuola. Frequenta l’istituto dei Carmini, dove ottiene il diploma in scenografia. Il mondo dell’arte lo chiama, e nel giro di poco ottiene i primi impieghi di lavoro. Tra il ’39 e il ’40 è scenografo alla Fenice con la Bohème e la Turandot. Il dramma della guerra, però, è dietro l’angolo.
Geremia viene chiamato alle armi. Entra a far parte della storica divisione Acqui, nata nel 1831. È spedito in Grecia, dove Mussolini puntava a condurre la guerra parallela per non restare indietro rispetto alle vittorie naziste. Nel corso dei mesi, la situazione volge al peggio. Fino all’8 settembre ’43, giorno dell’armistizio. Geremia sceglie di non deporre le armi e, nel giro di poco, viene catturato dai tedeschi. Ma si salva dall’eccidio dei giorni successivi – tristemente passato alla storia – iniziando però il calvario della prigionia: prima in Albania, poi in Austria. Gli anni più bui li passa a San Veit, in Carinzia. Dove però è la sua arte a salvarlo.
Venuti a sapere delle sue doti pittoriche gli ufficiali del campo gli chiedono di dipingere ritratti. È la carta vincente, quella che lo tiene in vita. Fino al giorno della liberazione, quando riesce a tornare a Venezia a bordo di mezzi di fortuna. L’incubo è finito, la vita ricomincia. Nel ’55 si sposa con Annamaria, da cui avrà Patrizia e Marco. Solo a quel punto, riprende in mano la pittura e il suo linguaggio figurativo. Una passione che non lo abbandonerà più. Riceve l’incarico come illustratore del giornalino “Il Risveglio”, nel ’61 partecipa con successo alla 45° edizione della Bevilacqua La Masa e, al noto premio di pittura La Valigia.
Tra i suoi soggetti preferiti, la laguna e Venezia occupano il posto d’onore. Fino all’ultimo periodo della sua vita. Oltre a familiari e amici, la scomparsa di un pezzo di storia cittadina e italiana ha toccato anche l’Iveser da sempre in prima linea nel salvare e proteggere la memoria collettiva: «Stiamo andando verso una nuova stagione, quella del “post testimone”. si dovrà lavorare sulla memoria di secondo o terzo livello ovviamente con strumenti e metodologie del tutto diverse, anche per questo gli archivi audiovisivi acquistano un'importanza molto rilevante». ( Eugenio Pendolini da la Nuova di Venezia e Mestre del 17/06/19)
Comunico la triste notizia della scomparsa del Reduce della Divisione Acqui, Pietro Giuliari, di Illasi (Verona), già vice presidente della Sezione di Verona avvenuta il 28 maggio 2019.
Pietro Giuliari, 98 anni, (primo a destra nelle foto) nato il 30.10.1920 e residente in Via S. Giustina 1/A – 37131 Illasi (Verona), reduce Acqui dell’8° nucleo chirurgico a Cefalonia.
La vicenda della “Acqui" non l'ha mai dimenticata, soprattutto perchè quella strage di centinaia di giovani militari l'ha vissuta in prima persona, dalla parte delle vittime, salvandosi per miracolo, per caso o perché il suo lavoro e le sue competenze erano funzionali agli aguzzini, come nei lager.
Pietro da militare lo chiamavano «bambino», perché era al fronte a 19 anni e quattro mesi, inquadrato nell'8° nucleo chirurgico del IV reparto di Sanità di Verona. Visse dall'interno dell'ospedale di Cefalonia il bombardamento aereo tedesco della struttura sanitaria per indurre gli italiani alla resa e fu testimone degli eccidi successivi, quando non fu rispettato nessun trattato internazionale sui prigionieri disarmati e inermi. Al muro finirono anche soldati prelevati dai letti dell'ospedale e tutto il personale sanitario dell'ospedale da campo 37.
«Poi fu il nostro turno, dell'ospedale da campo 37: suor Maris Stella Longhino che lavorava con me in reparto, mi si avvicinò e mi fece baciare il suo crocifisso, quando eravamo già nel cortile schierati per l'esecuzione. Solo allora, dalla finestra dell'ospedale, un ufficiale tedesco, ferito in combattimento e al quale avevamo amputato un braccio qualche giorno prima, ordinò di riportarci al lavoro», racconta Pietro. “Qualche anima buona c'era dunque anche fra i tedeschi?"
Claudio Toninel
Questa notte, a seguito dei postrumi di una brutta caduta, è venuto a mancare GIUSEPPE BENINCASA, conosciuto come Zio Peppino.
Era nato il 22 ottobre 1922 a Castronovov di Sicilia.
Fu militare nella Divisione Acqui, quale trombettiere. Si salvò miracolosamente dall'eccidio nazista a Cefalonia e in seguito combattè come partigiano nelle file dell'Elas.
A Cefalonia conobbe anche la sua futura moglie, Maria.
Raccolse le sue storie nell'interessante libro: " Memorie di Cefalonia. RIPOSA IN PACE, Zio Peppino. Scheda biografica del signor Giuseppe Benincasa, insignito della medaglia della Liberazione.
Il signor Giuseppe Benincasa nato a Castronovo di Siciliaq il 22 ottobre 1922 è Cavaliere dell'Ordine al Merito delle Repubblica Italiana dal 27 dicembre 2011.
Penultimo di una famiglia numerosa di 12 figli, nell'adolescenza fru rinchiuso per 9 anni in un collegio su proposta del Podestà castranovese a causa del suo carattere libero che lo portava a non sopportare soprusi ed angherie dei facinorosi e dell'alterigia fascista. Chiamato alle armi nel 1942, fu inviato con la Divisione Acqui a Cefalonia e in seguito agli scontri con i soldati tedeschi che seguirono all'armistizio dell'8 settembre 1943 , fu ferito a una gamba dalla scheggia di una bomba lanciata dagli aerei Stukas dell'aviazione tedesca.
Catturato dai tedeschi fu portato, con altri suoi commilitoni, in uno spiazzo e a seguito di una collutazione con un soldato tedesco, che voleva rubargli una collaniona con l'effige della Madonna, cadde a terra, sfinito dalle ferite e dal digiuno. Venne sommerso dai corpi dei compagni trucidati dai tedeschi e scampato all'eccidio riuscì, dopo ore, a porsi in salvo trovando rifugio presso abitanti del luogo che lo aiutarono a trovare un'altra identità.
“La guerra è quando milioni di persone sono costrette ad odiarsi e a scannarsi tra loro senza sapere il perchè, per ilo capriccio di un re o di un tiranno. E alla fine delle carneficine, questi si strigono le mani".
Questa è la definizione che ha dato alla guerra il signor Benincasa che, entrato nelle file dei partigiani greci dell'Elas, partecipò a diverse operazioni contro soldati tedeschi. (per gentile concessione del sig. Santino Gallorini, iscritto al gruppo FB " Quelli che non dimenticano la strage dei militari italiani a Cefalonia)
“Sono il figlio del reduce Salvatore Breglio di Napoli.
Purtroppo mi preme di comunicare che mio padre è finito la scorsa notte.
Un altro dei reduci raggiunge i commilitoni della divisione alla casa del Padre."
Con queste parole il figlio Giovanni ci ha mandato questa triste notizia. Per quanto ne sappiamo, Salvatore, era l'ultimo reduce vivente della Acqui di Napoli e di tutta la Campania.
Ci ha lasciati il fante Aldino Tosini di Parma.
Ad Aldino era stata riconsegnata la sua gavetta che lo aveva accompagnato a Cefalonia, ritrovata da un certo Stefano Vlachos che abita a Lassi in un magazzino rurale appartenente a suo suocero, nei pressi di Argostoli.
Questa commovente vicenda ha avuto un lieto fine, grazie al nobile gesto di Stefano Vlachos, titolare del ritrovamento della gavetta, e delle persone coinvolte.
Aldino ha potuto così vivere un intensa emozione e tornare in possesso di un oggetto che aveva condiviso la sua esperienza nell'isola di Cefalonia.
Il 7 marzo u.s. è venuto a mancare l'artigliere Cesare Piantella.
Nato a Fontaniva (PD) il 07- 11-1923, Cesare si salvò dall’eccidio della Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù nel settembre 1943.
Artigliere del reparto Comando del 33° reggimento Artiglieria della Divisione Acqui, il suo comandante era Angelo Longoni.
È mancato Giuseppe Barbieri, scampato all'eccidio della divisione Acqui.
TORBOLE. L'alpino Giuseppe Barbieri è “andato avanti". Ed è una grave perdita non solo per la comunità di Torbole ma per tutto l'Alto Garda.
Classe 1920, Barbieri era uno degli ultimi superstiti della gloriosa divisione Acqui, i cui reparti (varie migliaia di militari) dopo 1'8 settembre 1943 vennero trucidati dall'esercito tedesco sulle isole greche di Cefalonia e Corfù. I pochi sopravvissuti vennero inviati in campi di concentramento in Germania ed in Russia. Quest'ultima infelice destinazione toccò a Giuseppe Barbieri il quale, alla conclusione del secondo conflitto mondiale e dopo svariate peripezie, riuscì a ritornare al paese natale.
L'alpino torbolano apparteneva alla sempre più sparuta schiera di reduci dell'immane guerra nella quale venne coinvolto ancora non ventenne.
I cinque duri anni in “grigioverde" rimasero un triste ricordo, indelebile, per il torbolano come lo furono per i numerosi commilitoni ed amici scomparsi tragicamente sulle isole greche e per quelli morti nei precedenti fronti di guerra.
A distanza di decenni e malgrado l'età non giovanile, Barbieri rammentava con straordinaria lucidità i drammatici eventi accompagnati dalla constatazione che non dovessero più accadere, auspicando con determinazione un futuro di pace generale. Concluso il periodo bellico lavorò come dipendente della Società Atesina, l'attuale TrentinoTrasporti, e fino alla pensione guidò le corriere di linea della zona.
da: http:/ /www.giornaletrentino.it/cronaca/alto-garda-e-ledro/torbole-dice-addio-al-suo-re… 29/03/2019
Il 1° settembre è mancato l'artigliere PATELLI ANTONIO – di Chiuduno (Bg) – nato il 12 settembre 1919 – Chiamato alle armi è aggregato al 33° reggimento artiglieria Divisione “Acqui". Dopo l'8 settembre fu catturato e trasferito in un campo di concentramento in Germania da cui fece ritorno in Patria nell'ottobre del 1945. Gli anni tristi e tormentati della guerra erano finiti; Antonio si dedicò al lavoro di contadino e con la moglie Pasquina formò una bella famiglia con tre figli, con la quale condivise i suoi Ricordi.
Nel gennaio 2016 gli fu consegnata la Medaglia della Liberazione, ma per motivi di salute venne ritirata con grande emozione il figlio Franco.
Daniella Ghilardini
É da pochi giorni che abbiamo ricevuta la notizia della dipartita del reduce trentino Oreste Gentilini.
Oreste era nato a Pradaia, frazione Torra (tn) il 30 settembre 1919. A Cefalona, Gentilini era stato catturato e portato alla fucilazione ma ha avuto la fortuna di rimanere sotto la catasta di morti, fortunatamente indenne, ed è stato capace di districarsi tra i corpi e chiedere aiuto. Così lo hanno tirato fuori e portato con un carro all'ospedale militare dove ha scoperto di non avere nemmeno un graffio. Ma non era finita, anzi.
La rappresaglia nazista continuava e a salvare Oreste e altri soldati originari di Trento e Trieste è stata la circostanza che loro ormai, con la nascita dell'Alpenvorland, erano “diventati” tedeschi. Alla fine i pochi italiani risparmiati sono finiti nelle mani dei partigiani comunisti che operavano in montagna, dove Gentilini ha fatto il servitore e lo stalliere soffrendo la fame ma almeno salvando la vita. Nel 1945 la prigionia è finita con l'arrivo degli Alleati e dal Pireo, dove era stato portato, finalmente ha potuto salpare per l'Italia con una nave francese. Sbarcato in Puglia (a Brindisi) è arrivato con treni di fortuna fino a Bologna e poi con un pullman a Trento e a Torra.
Purtroppo ci ha lasciati anche il fante Umberto Ferro. Umberto era nato nel 1921 e aveva fatto parte e combattuto con il 17° reggimento fanteria Divisione Acqui.
Le vicende del reparto dell'esercito italiano che, in seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943, fu in parte annientato ed in parte imprigionato dalle truppe tedesche della Wehrmacht, sono state rievocate durante l'inaugurazione dei 23 pannelli da Umberto Ferro, 96 anni, ex combattente del 17° Reggimento Fanteria della «Acqui». Ferro, originario di Roverchiara, oggi è ospitato alla casa di riposo di Bovolone ed è uno degli ultimi 80 superstiti ancora in vita della Divisione Acqui.
«Dopo essere stati catturati dai tedeschi», ha ricordato commosso l'anziano, «con altri sopravvissuti alle fucilazioni sono stato imprigionato in un campo di concentramento in Jugoslavia. Eravamo ridotti a cibarci con l'erba visto che il rancio era inconsistente». «L'eccidio in cui perirono, per mano di truppe regolari tedesche, migliaia di soldati della Acqui», ha rimarcato Claudio Toninel, vicepresidente nazionale e presidente provinciale del sodalizio, «è considerato il primo episodio di resistenza ai nazifascisti, da parte dell'esercito italiano, fuori dai confini nazionali».
È morto Antonio Beltrame, l'ultimo padovano superstite della Divisione Acqui a Cefalonia dove, dopo 1'8 settembre 1943, furono trucidati dai tedeschi della Wermarcht, molti soldati italiani, guidati dal comandante
Antonio Gandin.Ai funerali erano presenti l'Associazione Nazionale Divisione Acqui con il socio Luciano Alberti che ha portato il labaro della Sezione Padova-Venezia e l'Associazione Nazionale Ex Internati con i suoi rappresentanti.
La sua vita è ricordata sia nel libro-intervista, effettuata dalla cognata Mirella Paolin Monti, “il Profumo del Caprifoglio" e sia negli atti di un convegno, tenutosi in città nel 2013.
Antonio era legato da sempre alla Associazione Acqui della quale condivideva ogni inziativa partecipandovi quando poteva. Una vita dedicata, oltre alla sua famiglia, alla memoria dei commilitoni che dall'isola di Cefalonia non sono mai tornati. Antonio Beltrame faceva parte del 317° reggimento fanteria.
Trigari Dino era nato a Bologna il 4 febbraio 1922. Faceva parte del 18° reggimento fanteria ed era di stanza nell'Isola di Corfù, nella parte sud occidentale nel villaggio di San Giorgio.
Mi raccontava che aveva vissuti, in quei frangenti, periodi di tranquillità e ricordava divertito, chge con i compagni erano riusciti persino a fare i tortellini. Dopo l'8 settembre, con la sconfitta contro i tedeschi e la capitolazione del presidio Italiano, fu fatto prigioniero dai tedeschi. L'allegria dei tortellini si era trasformata in tristezza quando mi disse di aver assistito all'uccisione, a sangue freddo, di un tenente e un capitano. Dopo mesi, durante la prigionia in Germania, vide due soldati polacchi che avevano trovato a terra una scatoletta di alici vuota. Dal momento che la stessa era appena stata gettata, i due ne leccavano l'olio che la imbrattava; scoperti dalla guardia tedesca, per quella colpa, furono freddati da una raffica di mitra. OP
“Siete stati tutta la mia vita" e noi, finché lui ha potuto, abbiamo avuto la gioia della sua compagnia. Ha raggiunto la sua amatissima Carla il nostro caro papà.
Il 20 maggio u.s. è venuto a mancare il geniere Ido Bressan.
Faceva parte della 33ª compagnia del Genio TRT inquadrato nella divisione Acqui. Divisione gloriosa ma anche protagonista di una pagina tragica. Infatti, la sua scelta collettiva di non arrendersi ai tedeschi dopo l'armistizio del'8 settembre costituì una delle prime pagine della resistenza. La divisione Aqui, che occupava l'isola greca di Cefalonia, resistette ai tedeschi per poi, dopo giorni di battaglia, soccombere. Ido Bressan era tra i pochi sopravvissuti di quella pagina di storia d'Italia.
“Sono già morto tre volte, ma se sono ancora vivo evidentemente l’ha voluto Dio”. É questa la frase che ha racchiuso la vita di Rosario Tiberi, nato il 24 mano 1923, proprietario delle strutture dove ci sono il bar-pasticceria Fieni, la tabaccheria e l’hotel “La Spiaggia” di Focene. Questa mattina lo stesso Dio che l’ha voluto lasciare sulla terra per essere da insegnamento a chiunque avrebbe avuto la fortuna di conoscerlo ha deciso di chiamarlo accanto a lui.
A 95 anni era ancora il punto di riferimento per tutti, moglie, figlie, nipoti. E gli abitanti della località possono essere orgogliosi di avere avuto come concittadino un pezzo di storia, un valoroso uomo che ha combattuto per la patria. Un reduce dall’eccidio di Cefalonla.
E proprio per questo è stato ricevuto al Quirinale dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 27 gennaio 2012 (nella foto). A Rosario gli è stato dato il titolo onorifico di Sergente della Marina Militare.
“Tutto iniziò nel gennaio del 1943 – ci ha raccontato in una intervista qualche anno fa ancora visibilmente commosso − quando arrivai a La Spezia. Era l’6 gennaio. Dopo tre giorni mi vestirono e successivamente mi mandarono sull’incrociatore Bolzano che era stato affondato. Avevo il compito di rimetterlo in piedi insieme con altri militari. Durante quei venti giorni ho riportato anche una ferita alla mano a causa dell’esplosione di un fusto di gasolio che mi prese in pieno”. Nel marzo del 1943 venne formata la batterla 152/40 e Rosario ne fece parte. “Non conoscevamo la nostra destinazione – ricordava Rosario – abbiamo toccato diverse località a bordo di una tradotta.
Partiti da Bologna siamo arrivati a Lubiana (Slovenia), poi a Mestre che si presentava come una città aperta e luminosa. Il nostro viaggio interminabile ci portò anche in Ungheria, Bulgaria, e Romania prima di approdare in Grecia.
La prima tappa fu il Pireo e successivamente Atene, ma non siamo stati accettati e cosi alla fine siamo arrivati a Patrasso. Eravamo 70 marinai e da lì con un’imbarcazione arrivammo a Cefalonia”. Dopo qualche mese di servizio militare senza particolari criticità, ecco Il fatidico 8 settembre. “Alle quatto del mattino – raccontava Rosario – ho smontato di guardia insieme al tedeschi, alle nove eravamo diventati nemici . Il Generale Candini e il Colonnello Mastrangelo cercarono di trattare per una resa condizionata”. Alla fine l’accordo venne trovato, nessuno poteva più uscire dall’isola né entrare. “Ero al terzo cannone come puntatore della batterla 152/40 – ricorda Rosario – All’Improvviso due zattere tedesche entrarono nel porto, rompendo cosi l’accordo. A quel punto lo e gli altri due cannonieri abbiamo aperto il fuoco e le zattere sono affondate. Da lì è scoppiata la guerra tra la nostra Divisione Acqui e i tedeschi, tanto che il cielo di Cefalonia era pieno di aerei e noi potevamo attaccare solo di notte”. I tedeschi poi paracadutarono dal cielo una divisione di alpini provenienti da Stalingrado che avevano 48 ore di carta bianca. Ogni reparto Italiano che dichiarava la resa venne fucilato. “La mia batteria fu l’ultima ad arrendersi – ci ha detto con gli occhi lucidi Rosario – Eravamo rimasti in 24. Ci fecero prigionieri e ci dissero che loro erano russi e duri, poi ci Inquadrarono in file di tre e aprirono il fuoco. Morirono tutti, tranne io e il sergente Neri che cademmo in mare”. Dopo 20 giorni però ci fu un rastrellamento nel quale i tedeschi catturarono 400 militari Italiani, tra cui il cannoniere Rosario Tiberi. “Non c’era più scampo – diceva Rosario – ormai la morte era certa. Avevano una lista con i nostri nomi, ci chiamavano uno ad uno per caricarci su un furgoncino diretto a Punta Sain Teodoro dove avveniva la fucilazione.
Arrivò iI mio momento, ma quando ero sul punto di salire a bordo del mezzo dal cielo arrivarono degli aerei inglesi che iniziarono a bombardare. Cosi riuscii a tornare libero”. La mano di Dio ancora una volta ha accarezzato Rosario che subito dopo incontrò il capitano Apollonio. “Mi fece passare per triestino – spiegava Rosario − dato che Hitler aveva deciso di graziare chi proveniva da quella parte d’Italia. Mi fece restare nella caserma di Mussolini per 20 giorni, fino a quando i tedeschi decisero di imbarcarci su un grande peschereccio per portarci a destinazione dato che eravamo stati graziati. Pioveva a dirotto quella sera e eravamo pronti per l’imbarco. Ad un tratto Il soldato tedesco tagliò la fila davanti a me, lo mi ribellai cosi per tutta risposta rimediai una brutta ferita in testa. Volevo andarmene da lì. Eppure restare a terra fu una fortuna perché a mezzanotte quell’imbarcazione è stata fatta affondare e gli oltre 2000 militari sono morti. E io per la terza volta ho evitato la morte”. Rosario in Grecia ha contratto anche la tubercolosi renale che ha avuto un picco massimo al rientro In Italia quando era a casa in licenza. Per questo non ritornò alla base e fu dichiarato disertore. Solo dopo varie visite nella caserma di viale Giulio Cesare a Roma si accorsero che era da operare d’urgenza, tanto che gli fu estratto un rene. “Proprio cosi – ci ha confidato Rosario- da allora vivo con un solo rene. A Cefalonia furono fucilati 6mila soldati e affogati altri 3mila, ma Rosario è riuscito a tornare a casa con la sua forza e il volere di Dio. Questa mattina Rosario però si è arreso e c’è un profondo dolore in tutta la comunità che è vicina al dolore dei suoi. “È stato un patrimonio per Focene, per tutto il comune di Fiumicino per tutta Italia – dicono i membri del Nuovo Comitato Cittadino – in questo momento ci stringiamo al dolore del nipote Emiliano e di tutta la sua famiglia”. (da www.qfiumicino cronache)
MANTOVA. Marino Besutti, uno dei pochi superstiti dell’eccidio di Cefalonia, si è spento il 1 marzo a 95 anni. Reduce della divisione Acqui, visse in prima persona la rappresaglia nazista nei confronti delle truppe italiane di stanza nell’isola greca dopo l’8 settembre. Tra le onorificenze ricevute, la Medaglia della Liberazione del ministero della Difesa consegnatagli nel 2015 durante la cerimonia degli auguri natalizi in Prefettura.
Besutti era molto noto in città. Per cinquant’anni ha gestito la prima stazione di servizio di piazzale Gramsci, vestendo i panni del benzinaio di fiducia di molti mantovani. Lo scorso 8 settembre aveva festeggiato i 72 anni di matrimonio con la compagna di sempre, Cesarina. I funerali hanno avuto luogo il 3 marzo alle 10.25 con partenza dalla casa funeraria di Mantova a Levata per il crematorio di Mantova.
LEGGIO SUPERIORE il 30 ottobre 2016 è mancato il fante Cesare Fustini, reduce dei fatti di Cefalonia. Uno degli ultimi superstiti di quella vicenda, era ospite della Casa di Riposo di Santa Croce.
Classe 1922, inquadrato nel 317° Reggimento fanteria del I battaglione, alla fine dell' aprile 1943 Fustini era sull'isola di Cefalonia, di guardia alla baia di Mirtos: il 9 settembre da Argostoli arriva l'ordine di rientrare al comando militare, poi i militari italiani prendono posizione a Ponte Chimonico, in montagna.
L'ordine è quello non di difendersi ma di attaccare preventivamente: tutto inutile, perché i tedeschi hanno il sopravvento e fanno prigionieri gli italiani. Inizia così l'odissea del soldato Cesare Fustini, che riesce a salvarsi solo perché sa il tedesco, facendo il barbiere e il panettiere.
Qualche tempo dopo fugge da Arta dandosi alla macchia: l'arrivo degli americani permette a Cesare di imbarcarsi per tornare nel suo paese natale. (g.ri.)
SI è spento a Cremona il 5 gennaio scorso a 70 anni di età il revisore del conto nazionale effettivo dell'Associazione rag. Fiorenzo Riva. Il ricordo della sua figura non è solo formale perché egli era veramente come sopravvive nel ricordo dei suoi amici: disponibile sempre, si prodigava in quanto gli veniva richiesto, sulle labbra sempre un accenno di sorriso, aperto a tutti, amante della compagnia e della conversazione, ma nello stesso tempo capace di riflessioni profonde, generoso e cordiale, con qualche puntigliosità solo quando pretendeva il rispetto delle persone e delle regole.
Era, insomma, una persona perbene d'altri tempi. E appunto con questo suo spirito di disponibilità aveva accolto l'invito ad accollarsi il compito di revisore del conto della nostra Associazione, chiedendo però di esserne anche socio: così ogni anno versava la sua quota aggiungendo un piccolo contributo alla sua sezione. Per la sua dedizione all'Associzione gli siamo grati e come amici lo porteremo nel cuore. (Giovanni Scotti)
BERGAMO, 04 GENNAIO 2018
Questa mattina ci ha lasciati il Caporal Maggiore GIOVANNI GRASSI, anno 1920, del 3° Raggruppamento Artiglieria di Corpo d’Armata, 7° Gruppo Cannoni da 105/28 R.V.M. (Reparto Munizioni e Viveri), compito ingrato, diceva sempre, in quanto bisognava sempre essere presenti e pronti con il proprio camion a portare viveri e munizioni anche nella furia della battaglia. E’ sempre difficile salutare una persona speciale ed in particolare un Amico.
Ho ereditato l’amicizia di Giovanni dalla mia famiglia, dallo zio Padre Luigi Ghilardini e dal papà. Una eredità che è diventata preziosa in questi ultimi anni, abbiamo scoperto un’intesa ricca di motivazioni, di tanti discorsi ed opinioni, che ci han visto lavorare insieme per dare voce ai Ricordi e Memorie di quanti hanno vissuto i tragici eventi della guerra nelle isole di Cefalonia e Corfù.
Giovanni ha mantenuto nel modo più profondo quel giuramento che con i suoi commilitoni hanno fatto quando sono tornati in Patria: “Mai dimenticare né tradire il sacrificio ed il sangue dei nostri fratelli”.
Quelle pagine dalla nostra Storia le ha raccontate e testimoniate in tante occasioni: comizi, commemorazioni e nelle scuole, dove si recava con entusiasmo e sapeva coinvolgere e catturare l’attenzione di tutti scolari, studenti e insegnanti. Parlava di come la guerra imbruttisce l’uomo, di quanto male possa fare ad una persona l’odio ed il disprezzo e di come l’istinto di sopravvivenza di fronte a tanto odio venisse meno al punto di desiderare la morte. Nei momenti più tragici, il freddo, la fame e la sete si potevano anche sopportare, ma era la paura a rendere insopportabile vivere quei momenti. Nel racconto delle sue testimonianze mi colpiva l’assenza di parole d’odio o disprezzo, ma bensì trovava sempre il modo migliore per sottolineare quanto si debba custodire la Pace, bene prezioso e fragile.
Ci ha lasciato un opuscolo con scritte le sue Memorie, delle quali riporto una frase che scrive al rientro in Patria nel novembre del 1944 su una nave inglese verso il porto di Taranto:
“La cerimonia per accoglierci era predisposta, come ovvio, in perfetto stile militare. Noi tutti schierati in coperta sull’attenti, il picchetto militare di truppe alleate che, dall’alto del Castello Aragonese ci presentava le armi. Sull’altro lato del porto, la folla ci salutava ed applaudiva. Mi sentii orgoglioso di appartenere alla Gloriosa DIVISIONE DI FANTERIA DA MONTAGNA ACQUI”.
Quell’orgoglio lo ha accompagnato per tutta le sua vita.
Daniella Ghilardini
A quasi un anno dal compimento dei suoi cento anni a Fondi (LT),
si è spento Vincenzo Sepe uno degli ultimi reduci della Divisione Acqui. Il fante, reduce e superstite dell’eccidio di Cefalonia e Corfù, il 10 Giugno 1943 raggiunse, il 18° Reggimento Fanteria Acqui, reparto a cui era stato assegnato, nell’isola greca di Corfù, dove, a seguito dell’armistizio dell’8 Settembre, vi furono violenti scontri a fuoco con le truppe tedesche. per il suo ultimo viaggio sarà accompagnato da un Picchetto d'Onore della nuova Divisione Acqui che ha sede a San Giorgio a Cremano. (op pubb il 27/11/17)
Giuseppe Licopoli, uno degli ultimi reduci di Cefalonia, ci ha lasciati. Promosso al grado di Caporale Maggiore del 317° Fanteria, non ebbe riconosciuto il grado perchè i documenti del Reparto andarono smarriti. Qualche anno fa, mi raccontò telefonicamente di come miracolosamente ebbe salva la vita.
Nato a San Martino di Taurianova (RC) nel 1922, ha trascorso parte della sua vita a Torini e ha sempre raccontato i momenti di guerra del settembre 1943.
Propongo questa foto, immaginandolo vicino ai suoi commilitoni che mai dimenticò. R.i.p.
Giovanni Quaranta
pubb. 27/11/17
Ci ha lascati uno degli ultimi reduci (quattro sono tuttora viventi) Cornali Dino appartenente al 17° Reggimento Fanteria aveva 96 anni; una polmonite ha stroncato la sua forte fibra. In allegato l’articolo apparso sulla Gazzetta di Parma di ieri. Ha dedicato molti anni della sua vita avventurosa a raccontare nelle scuole del suo paese (Solignano) e dintorni, le vicende e la storia della Divisione”ACQUI”. Se vuoi leggere l'articolo clicca qui.
18/09/2017
dalla sezione di Trento e Bolzano ci comunicano della scomparsa del reduce Rino Mellarini. Lo ricordiamo scrivendo un brano da una suua testimonianza;
“Noi eravamo in 17, occupati a caricare il camioncino. Apparvero due tedeschi e fu l'inferno: col mitra spazzarono il piazzale finchè cademmo tutti. Io sotto altri corpi.
Poi, sempre con una sventagliata di mitra, ci assestarono “il colpo di grazia".
I corpi dei commilitoni mi protessero ancora e fui solo ferito alla schiena.
Il peso dei miei compagni morti, sopra di me, fece in modo che non morissi per l'emoraggia.
Anche per questi fatti il militare fu in seguito riconosciuto dal Ministero della Difesa “partigiano combattente all'estero". E ancora oggi riceve circa 30.000 lire mensili di pensione, perchè l'Italia ama ed onora i suoi eroi e quel soldato ritornò a casa solo dopo un anno dalla fine della guerra, perchè gli jugoslavi lo trattennero nel vicino Paese, quasi come preda di guerra…" Rino Mellarini (05.11.1920) del 33° Reggimento artiglieria a Cefalonia.
pezzo tratto da l'Adige del 3 dicembre 2000 a firma di Renzo Maria Grosselli.
PIZZIGHETTONE:
Il borgo murato dà l’addio, lunedì 6 marzo, all’ultimo reduce di guerra in vita e con lui se ne va una parte importante della storia locale: di 93 anni il cavaliere Ettore Capelli. Classe 1923, Ettore nasce a Milano in una famiglia di 8 fratelli e viene arruolato con il grado di Fante Semplice, con destinazione Fossano in Piemonte.
Viene poi assegnato alla Divisione Acqui 33 operante in Grecia e partecipa alla guerra nei Balcani, nei territori albanesi, dove con la popolazione greca gli italiani instaurarono rapporti positivi. Catturato dall'esercito tedesco il 10 settembre 1943, Ettore viene deportato, con i treni vagoni, ed internato nel campo di concentramento di Dortmund (Germania) e, dopo circa sei mesi, trasferito nel campo di prigionia di Wupperhall (Germania). (da la Provincia di Cremona.it del 05/03/17)
Nei giorni scorsi è venuto a mancare il cav. Luigi Mazzola a 96 anni compiuti.
Nel marzo del 1940 il distretto militare di Trento lo assegnò al 33° Reggimento artiglieria della Divisione Acqui, successivamente a presidio della fortezza vecchia a Corfù con una batteria da 20mm.
Stralcio dell'articolo di Federica Passamani pubblicato su l'Adige il 20 gennaio 2013.
“Par di vederla, la guerra, negli occhi azzurri di quest'uomo che s'inumidiscono di lacrime al rinnovato ricordo, indelebile, dell'orrore passato. “Spara! Adesso spara anche a me!" Sono le parole di una persona che non poteva sopportare più, stremata dalla fame, dalle pene e dalla lunga prigionia, a cui però era rimasta la dignità di ribellarsi di fronte all'ennesima scena di violenza che si era compiuta davanti a lui.
Un ufficiale tedesco delle SS aveva appena impugnato la sua pistola, uccidendo un innocente bambino di 11 anni, reo semplicemente di essersi mosso, e di fronte all'urlo soffocato del prigioniero italiano che gli era accanto, si era girato e aveva puntato la pistola alla testa di quest'ultimo, senza premere il grilletto.
Il prigioniero italiano era Luigi Mazzola e l'episodio uno dei tanti che riaffiorano prepotenti alla sua memoria…"
Il rientro di Luigi a Trento avvenne nell'estate del 1945. Di quel momento ha un ricordo ben preciso: “Ho fatto a piedi tutto il pezzo fino in piazza Duomo, dove abitava la mia famiglia, e quando sono arrivato, era mezzanotte, suonavano le campane: ho abbracciato il grande tiglio sotto la torre civica, guardando da lontano la mia casa". Era finita.
Ciao caro Luigi. (a cura di Franco Menapace)
Dalla sezione di Verona, il presidente, Claudio Toninel ci informa della scomparsa del reduce Paolino Rizzotti.
Rizzotti, che faceva parte del 317° Reggimento Fanteria, era nato a Oppeano il 20 agosto 1922, chiamato alle armi nel 1942 fu inviato prima a Zante e poi a Cefalonia. Salvatosi dall’eccidio venne fatto prigioniero dai tedeschi che lo obbligarono a portare in spalla le loro munizioni. Venne imbarcato su uno dei trasporti che portavano i nostri prigionieri nei campi di concentramento dell’Europo orientale. Sbarcato a Patrasso, fu caricato sui vagoni bestiame e portato in Polonia e obbligato ai lavori forzati. La liberazione avverrà nella tarda primavera del 1945. Abbiamo ripescato la sua storia nei nostri archivi e potete leggerla cliccando qui. (op)
Se ne è andato un tassello della nostra storia, l’ 8 gennaio u.s. ci ha lasciato Bombardieri Mario. Nato a S. Pellegrino (Bg) il 19/11/1923, assegnato alla Divisione Acqui e precisamente al 317° nella compagnia mortai, portò sempre nel cuore il ricordo di quei tragici momenti.
E’ proprio per quei ricordi che si impegnò per dedicare una piazzetta ai suoi “Amici Caduti” e ci riuscì; infatti l’8 settembre del 2009, alla presenza delle autorità civili, militari e religiose venne inaugurata una piazza nel comune di S. Pellegrino titolata ai “MARTIRI DI CEFALONIA”. Li chiamava sempre Amici i suoi commilitoni che non avevano fatto ritorno a casa e quando li ricordava, i suoi occhi si riempivano di lacrime e le parole gli si fermavano in gola come un nodo che non riusciva a sciogliere.
Cosa possiamo dire a queste persone che hanno dato così tanto alla Patria… io credo che “GRAZIE” sia la parola più eloquente, perché nasce dal cuore!! (Daniella Ghilardini)
Lunedì 20 febbraio 2017 è venuto a mancare un altro dei pochi superstiti rimasti della della Divisione Acqui.
Pietro Poli era nato a grezzana (VR) il 4 marza 1921 e faceva parte del 33° reggimento artiglieria, aggregato alla 3ª batteria del 1° gruppo comandata dal cap. Renzo Apollonio di stanza nell’isola di Cefalonia e posizionata nei pressi della città di Argostoli. Fu parte attiva nei combattimenti contro i Tedeschi dopo l’8 settembre fino alla caduta della sua batteria nei pressi del villaggio di Dilinata.
Tornò a casa dopo una lunga prigionia nei lager tedeschi e da allora, Pietro ha dedicato gran parte della sua vita nel ricordo dei compagni caduti nella battaglia di Cefalonia. (op)
Si è spento a Castiglione delle Stiviere Bruno Beschi, reduce dell'eccidio di Cefalonia. Nato nel 1922, a Castiglione delle Stiviere Beschi era stato insignito di una medaglia dal sindaco Alessandro Novellini un anno fa. In quell'occasione il primo cittadino aveva ricordato l'impresa di Beschi che, all'epoca, aveva 21 anni. «Bruno ha avuto fortuna” – racconta la moglie Laurina – li avevano portati nella valletta per fucilarli, ma un cambio di programma improvviso fece sì che dovettero trasferirli in un campo di raccolta detto “la caserma di Mussolini".
La festa, con la moglie e i famigliari, si era svolta alla Rsa San Pietro dove Bruno Beschi era ospite. (da Gazzetta di Mantova del 23/12/2016)
Il 27 gennaio 2017 un altro nostro reduce ci ha lasciati.
«Mi sono salvato dallo sterminio della 33a Divisione di Fanteria Acqui, il 22 settembre 1943», raccontava emozionato Luigi Benico, classe 1921, «perchè ero ammalato di febbre malarica. Un miracolo della Madonna», mormora, «perchè altro non so dire su questa fortunosa avventura che mi ha garantito di portare a casa la pelle». Il reduce, nato a Lazise (VR) nel 1921, risiedeva a Colà, arruolatosi il 13 gennaio 1941 con destinazione Tirana in Albania.
La nipote Sibilla ha ricevuto per lui il 25 Aprile, Festa della Liberazione a 71 anni dalla fine della guerra, la medaglia della Liberazione dal Ministero della Difesa sotto l'alto patrocinio del Presidente della Repubblica per «l'impegno profuso a rischio della vita, a difesa della libertà e indipendenza della Repubblica e della Costituzione».
Luigi Benico, essendo malato di malaria, era stato trasferito all'ospedale di Santa Maura, successivamente in quello di Patrasso e poi infine ad Atene, infine in Slovenia. Successivamente, appena in forze, in una decina di prigionieri, sono stati trasferiti in un campo di concentramento in Austria. La notte dormivano nelle baracche e la mattina uscivano a lavorare nei campi. «Ricordo che era gennaio del 1944, faceva un grande freddo», soggiunge, «e mi recavo al lavoro come potevo. Vidi una crocerossina, anche lei deportata, che mi sorrise.
Quel sorriso mi accompagnò per giorni. Non potevamo parlare con nessuno pena la fucilazione. Ma l'amore smuove le montagne», soggiunge Benico, «e Maria Naima mi contagiò. Tentai il tutto per tutto. Ci innamorammo, ci sposammo , dopo liberi, un anno dopo, sempre in Austria. E ritornai in Italia con lei l'8 agosto del 1946». (tratto da L'arena.it – 29/04/16 – Sergio Bazerla)
L’omaggio dell’ANPI di Brindisi al combattente per La Liberazione, Cosimo Durante, deceduto ieri 21 gennaio 2017.
Nella sua città natale ,Brindisi, si è spento all’età di 94 anni Cosimo Durante , uno degli ultimi testimoni viventi dell’eccidio di Cefalonia, la tragedia per antonomasia del martirio subito ma anche dell’eroismo dei soldati italiani, nei giorni seguenti all’armistizio del 1943.
Di essa egli ne parlava sommessamente a chi gli chiedeva di raccontare la sua esperienza, quasi fosse, a 70 anni di distanza , ancora incredulo ad essere scampato ai bombardamenti degli Stukas, alle fucilazioni di massa da parte della Wehrmacht, l’esercito tedesco, dall’affondamento della nave che lo trasportava nei lager in Germania, ed ancora dagli stenti , le privazioni, le umiliazioni subite in campo di prigionia.
Dalle sue parole si coglieva tutto l’eroismo dei marinai della divisione Acqui e delle altre nostre Forze Armate che strenuamente per giorni cercarono di opporsi allo sbarco dei tedeschi in quella isola greca. C’era l’amarezza di quel mancato soccorso, da parte della Regia Marina, proprio con le navi di stanza a Brindisi, impedite dagli ordini conseguenti agli accordi armistiziali con gli Alleati,
C’era il ricordo di quando lui, marinaio della Guardia costiera di base ad Argostoli era stato inviato con altri a difendere le batterie costiere che contrastavano i mezzi navali tedeschi, e di come fosse sopravvissuto al lancio delle bombe di quegli Stukas che per giorni martellarono le nostre difese. Poi, dopo aspri combattimenti, la resa del presidio, ed infine il massacro di tutti gli ufficiali e di tanti marinai.
Imbarcato su una carretta del mare, stracarica di prigionieri, scampò al naufragio causato da una mina, mentre gli abissi ingoiavano decine e decine di suoi commilitoni. Recuperato da una silurante tedesca veniva in seguito inviato in Germania con un ponte aereo, e imprigionato in un lager. Quando gli fu offerto di esser liberato in cambio del vestire la divisa dell’esercito fascista della Repubblica di Salò, lui,nonostante tutto ciò che aveva subito, diede la stessa risposta che oltre 600.000 soldati italiani diedero ai loro carcerieri con la croce uncinata: NO!
La sua vita di Internato Militare, tra lavoro coatto e prigionia terminò finalmente con la resa della Germania nel 1945. Rientrato in Italia , contribuì con il suo modesto ,ma pur importante lavoro, a metter su famiglia e a ricostruire l’Italia devastata dalla guerra scatenata dalla follia di Mussolini e dal regime fascista. (da Archivio storico B. Petrone)
Il 18 dicembre 2016 è venuto a mancare il caro Amico Cornelio Betta.
Faceva parte del 317° reggimento fanteria e aveva dedicato la sua vita al ricordo dei Caduti di Cefalonia e Corfù. Era stato molti anni presidente della sezione Di Trento e Bolzano. Prima della sua dipartita aveva lasciato uno scritto per i giovani:
Testamento ai giovani
Perché la Patria non dimentichi, perché i giovani ne traggano insegnamento e diventino migliori e così rendano il mondo più bello e pulito, perché chi educa insegni, faccia conoscere tanto eroismo, tanto sangue così generosamente sparso per mantenere la fedeltà ad un giuramento e rendere migliore la nostra Patria.
Chi prepara i giovani alla vita sappia infondere nel loro cuore generosità, fedeltà, coraggio di fare il bene, pronti così a superare le difficoltà della vita, ad amare la pace, a preparare una generazione veramente migliore della nostra.
Questo hanno insegnato con il cruento sacrificio delle loro giovani vite i 'Martiri' della Divisione Acqui caduti a Cefalonia, a Corfù e nelle isole lonie.
Cornelio Betta
La nave oggi è veramente naufragata.. Con queste significative parole il Superstite Francescantonio Pappa ,classe 1922 ci ha lasciato. Apparteneva al 33° Reggimento artiglieria “Acqui" a Corfù. Si salvò dal naufragio della motonave “Rosselli" nelle acque al largo di Corfù.
La sezione di Milano-Monza Brianza è particolarmente vicina ai familiari. Lunedi 31 ottobre sarà presente alle Esequie con il labaro e alcuni associati. Avevamo il mese scorso realizzato con lui un'intervista dove Francescantonio raccontava con lucidità gli eventi tragici trascorsi non solo nell'isola di Corfù ma ancor di più nel lungo periodo della prigionia.
Davanti al monumento nazionale della Divisione Acqui, in circonvallazione Oriani, si presentava ogni anno per la cerimonia dedicata ai caduti a Cefalonia e Corfù.
Ma quest'anno non ci sarà Massimiliano Turri, morto a 93 anni, giovane militare del 317m o Fanteria nel 1943, e ultimo reduce in città della Divisione Acqui.
Il funerale è stato celebrato nella chiesa parrocchiale Maria Immacolata, in via San Marco, in Borgo Milano. Con il figlio Ugo Turri c’era il veronese Claudio Toninel, vicepresidente dell'associazione nazionale Divisione Acqui con il labaro del gruppo.
«Turri era sempre presente alle cerimonie», ha spiegato Toninel, nipote del reduce di Cefalonia Mario Toninel, «speravo di averlo tra noi anche quest'anno: celebreremo l'anniversario il 23 settembre. Ci mancherà».
Secondo l'elenco dei reduci viventi compilato dall'associazione nazionale, Turri era l'unico residente a Verona. In provincia rimangono otto suoi compagni testimoni dell'eccidio della Divisione, perpetrato tra il 15 e il 26 settembre del 1943, quando migliaia di ufficiali e soldati italiani «intrappolati» dopo l'Armistizio a Cefalonia e Corfù furono trucidati dai tedeschi per non aver voluto arrendersi né consegnare le armi all'ex alleato nazista.
Classe 1922, Turri era a Cefalonia. Scampò al massacro, ma finì in prigionia. Dalla Grecia, in treno, passò per la Russia e finì in Germania, dove fu liberato dagli inglesi a guerra finita. «Tornò in Italia in treno», racconta il figlio Ugo. «Conosceva il macchinista, amico di suo padre, che lo lasciò dove passava la linea ferroviaria vicino a San Massimo». Di quei giorni, partendo dal servizio militare, Turri ha scritto le sue memorie. Terminata la guerra riprese la sua vita. Sposò Bruna Pasetto dalla quale ebbe il figlio Ugo. «Non usciva più di casa ultimamente, ma ogni anno era presente alla cerimonia al monumento», conclude Ugo. «Però c'era chi veniva a trovarlo. Alcuni anni fa alcuni militari gli chiesero di raccontargli la sua storia a Cefalonia. Quella testimonianza, tra le molte altre, sarebbe servita per incriminare un comandante nazista. E così fu».
L'eccidio dei soldati veronesi e italiani è ricordato dal monumento nazionale in circonvallazione Oriani eretto nel 1966 a Verona, per l'alto prezzo pagato dalla città a Cefalonia e a Corfù, e inaugurato da Aldo Moro allora presidente del Consiglio.
Oggi oltre al vice Toninel, Verona è presente nell'associazione nazionale con la segretaria Luisa Cassandri vedova di Guido Caleffi, anch'egli reduce a Cefalonia e per anni presidente dell'Anda.
Maria Vittoria Adani – l’Arena 4/8/16
Aveva poco più di vent’anni quando, nel settembre del 1943, vide moltissimi suoi compagni morire per mano dei tedeschi: Armando Crivellaro, nato a Veronella il 28 giugno 1923, era un reduce e superstite della Divisione Acqui, di stanza a Cefalonia, in Grecia, con il 317° Reggimento Fanteria, vittima della ferocia nazista nelle ionie di Cefalonia e Corfù dopo l’armistizio dell’8 settembre dello stesso anno.
Crivellaro è deceduto pochi giorni fa e gli è stato dato l’ultimo saluto nella chiesa di Cologna Veneta, paese dove viveva, in via Dante Alighieri 101/A.
Riuscì miracolosamente a salvarsi e, dopo varie peripezia, raggiunse la costa italiana nella Puglia, ormai liberata e occupata dalle truppe alleate. Fu arruolato nei contingenti alleati e partecipò alla guerra di liberazione, percorendo tutta la penisola fino al Nord Italia, dove, a conclusione del conflitto, ritornò a casa per riabbracciare i genitori.
Ai funerali era presente il labaro dell'Associazione nazionale Divisione'Acqui, sèzione di Verona, alla quale Armando era iscritto, portato dal presdente di sezione e vice presidente nazionale Claudio Toninel, che ha pronunciato pronuncerà un breve saluto commemorativo. Armando era sempre presente alla·commemorazione ufficiale dell'Eccidio della DvisioneAcqùi, che ogni anno si celebra a Verona, in settembre, al monumento nazionale dedicato all'Acqui in circonvallazione Oriani.
Lo scorso anno il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, in rappresentanza dal governo e del ministero della difesa, gli aveva conferito la medaglia della Liberazione e il Diploma d'onore riservato ai combattenti del secòndo conflitto mondiale che hanno partecipato avario titolo alla guerra di liberazione. (…)
da larena.it/territori/valpolicella/sant-ambrogio
Caro Mario,
Ti ricordi di quel giorno che ci hanno presentato? Accompagnavo Mario Pasquali ad una riunione del Consiglio Direttivo Nazionale che si teneva a Bologna. Non pensavo che da quella stretta di mano nascesse una importante amicizia. Mi ha colpito in te il grande interesse per i problemi dell’Associazione.
Ho iniziato veramente a conoscerti durante i viaggi che abbiamo fatto insieme a Corfù; ho apprezzato la tua grande cultura e ho avuto la conferma della tua enorme passione per la Divisione Acqui per il modo con cui mi raccontavi e mi spiegavi i fatti accaduti su queste isole.Anch’io che fino allora avevo una scarsa conoscenza, ho cominciato ad appassionarmi; alle mie domande avevi sempre delle risposte pronte ed esaustive, talmente esaustive che il mio coinvolgimento era sempre maggiore a tal punto che anche dopo aver cenato, ci trovavamo in camera tua (dove potevi fumare). Parlavamo anche della mia e della tua vita e, anche sotto questo aspetto, i tuoi consigli erano preziosi come dati da un fratello maggiore.
Da questi viaggi tornavamo sempre più soddisfatti a tal punto che ogni qualvolta ci telefonavamo, pensavamo a nuovi progetti. Realizzarli, voleva dire rinforzare i legami di amicizia ed unione con le isole che avevano visto morire i nostri soldati.
Quando ti ho parlato del la mia idea di gemellaggio fra il Comune di Parma ed il Comune di Corfù e che avrei presentato in Consiglio Comunale, trovai in te un vero amico prodigo di consigli sul come affrontare la burocrazia a me per lo più sconosciuta.
I tuoi consigli furono e saranno per me sempre molto importanti anche per lo sviluppo dei nostri progetti realizzati e per quelli futuri per cui tu continuerai ad aiutarmi.
Posso infine dire che sei stato per me un Mentore, un vero amico e uno fra gli amici che non dimenticherò mai.
Cercherò nel limite delle mia possibilità di portare a termine quanto hai detto con tanto fervore al termine della cena di gala quella sera a Corfù; un discorso, poche parole ma tonanti come solo tu potevi esprimere. Quelle parole sono state per me un incitamento a portare avanti quanto programmato. Grazie Mario
Fabrizio Prada
L’associazione Nazionale Divisione Acqui ha subito un’altra importante perdita: l’avvocato Mario Lorenzetti ci ha lasciato la notte del 15 giugno.
Mario era Vicepresidente della Sezione di Firenze, ma era anche il marito della nostra presidente nazionale Graziella Bettini, alla quale, a nome di tutti, la redazione rivolge le più sentite condoglianze ed un profondo pensiero solidale. Tipo vispo e molto acuto, Mario è stato una importante colonna per la crescita della nostra Associazione. Ha sposato la causa dell’”Acqui” con la stessa passione di sua moglie Graziella, e ha lavorato per essa con grande profitto e sempre prodigo di consigli verso tutti
Non è facile trovare le parole per definire questa nobilissima persona che, pur avendo un carattere deciso, era sempre disponibile al dialogo e alla mediazione per la risoluzione delle varie problematiche logistiche e legali dell’associazione. Dire che ci mancherà è una cosa superflua, lascia un grande vuoto che difficilmente potrà essere colmato. Ci mancheranno le sue prese di posizione, ci mancheranno i suoi commenti e ci mancherà il suo supporto per i contatti con le amministrazioni.
Proprio perché ci mancheranno di lui tutte queste cose, dovremo fin da ora dedicare un po’ più di impegno per far sì che le cose che lui ha contribuito a far iniziare abbiano un termine; dovremo fare il possibile affinchè l’Associazione vada avanti, così come lui avrebbe voluto, dovremo essere vicini alla nostra presidente per darle un po’ di quella forza che Mario le dava. Ti saluto mitico Mario, così come ti salutano tutti i componenti dell’Associazione Acqui che anche tu hai contribuito a rendere così grande. (op)
Giovedì 16 giugno 2016
Nel primo mattino mi giunge la notizia: è morto Mario.
È stato sulla breccia fino all’ultimo. Pur nella difficoltà ha voluto partecipare al Viaggio: è stato l’artefice dell’esperienza di Corfù e anche a Cefalonia non ha rinunciato a raccontare di vicende e luoghi.
Non voglio essere io a tracciare il ricordo di lui, come persona e come protagonista della nostra Associazione. È compito che lascio volentieri ad altra penna. Preferisco conservare per me il ricordo che mi porto dentro. Riferisco solo quella che per me è stata la sua ultima immagine nel Viaggio.
“La saluto avvocato Lorenzetti!” l’ho salutato con quel nostro modo un po’ canzonatorio che usavamo ad ogni incontro o congedo. E lui di rimando, seduto sul taxi, all’uscita del casello di Cesena, alzando in modo falsamente minaccioso il bastone di cui ultimamente era munito: “Eh! Arrivederci anche a lei!”
Sì: a rivederci, Mario. (Giovanni Scotti)
RICORDATEVI
IL SUO VOLTO RIDENTE
IL VOLTO RIDENTE DI MARIO
CHE ANCORA VI GUARDA
DAL FOCOLARE
OVE ARDE
LA FIAMMA DEI GIUSTI
CON VOI
EGLI CAMMINA ORA
NELLA LUNGA STRADA
DELLA VOSTRA VITA
VI GUIDA E SOCCORRE
QUANDO IL PASSO E’ INCERTO
E LA VIA PESANTE.
Versi adattati, tratti da “Familiari dei Caduti e Dispersi Divisione Acqui.-Raduno Nazionale Mantova 20 sett. 1987."
Ci ha lasciato Vincenzo Montefusco, classe 1922, Reduce di Cefalonia. (1° a sinistra nella foto)
Appartenente al 10° sussistenza Panettieri, di stanza a San Gerasimo, si sottrae all’Eccidio perché nascosto dalla fidanzata greca.
Resta quindi latitante per tutto il periodo della occupazione tedesca di Cefalonia, ma riesce a sposare la sua giovane salvatrice.
Il matrimonio viene celebrato clandestinamente da Padre Ghilardini. Resta a Cefalonia anche dopo la guerra per alcuni anni, e lì nascono i primi due figli.
Ritorna quindi definitivamente a Napoli, sua città natale, dove aumenta anche la sua famiglia e dove serenamente ed improvvisamente si è spento. Lo ricordiamo sempre allegro e scherzoso di carattere, e puntuale alle manifestazioni.
Nella foto, (S.Giorgio a Cremano 25 novembre 2011), riceve dal Comandante della Divisione Acqui, Gen. Div. Rosario Castellano, la medaglia della nostra Associazione, in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. (ANDA Sez. Campania e Lucania)
È scomparso a Cremona il 28 aprile il presidente onorario di ANDA Cremona col. a.h. prof. Ruggero Vailati.
Classe 1915, nel settembre 1943 era tenente aiutante del comandante dell’artiglieria reggimentale Col. Romagnoli, a cui era legato da profondo rispetto ed amicizia ed al fianco del quale ha seguito tutta la vicenda della trattativa e delle battaglie.
Sopravvissuto fortuitamente alla fucilazione degli ufficiali, nei giorni successivi alla resa era stato ricoverato in ospedale militare per una seria malattia e poi rimpatriato. Tornato nella natia Soresina era diventato fiancheggiatore della resistenza locale.
Laureato in chimica industriale, il prof. Vailati è stato per lunghi anni insegnante e preside in vari istituti superiori cremonesi e presidente dell’ordine di chimici.
La sua esperienza umana è rimasta, però, sempre legata al ricordo del suo col. Romagnoli e dei commilitoni perduti a Cefalonia.
Durante gli incontri con circoli culturali e scuole, quando parlava della trattativa, delle battaglie, delle fucilazioni, ne faceva lucidamente la cronaca, sentendo il dovere della testimonianza, ma sempre si commuoveva quando ricordava il vilipendio delle salme degli amici caduti.
“Vorrei che le mie ceneri fossero là, insieme alle loro”, ripeteva ai familiari negli ultimi tempi.
Con lui si è spento l’ultimo dei superstiti di Cefalonia e Corfù della provincia di Cremona. (G.S.)
Renata Petroni, presidente della nostra sezione provinciale di Rieti, ci informa della scomparsa del reduce Giacomino Felli. Giacomino era nato il 14 febbraio 1922 e faceva parte del 33° Reggimento Artiglieria.
A Torano, frazione di Borgo Rose, in provincia di Rieti, paese dove abitava sentiranno la mancanza di questo simpatico “Nonnino" che vediamo nella foto ricevere dal prefetto di Rieti la “Medaglia della Liberazione". (op)
Un altro reduce se n'è andato aumentando irrimediabilmente il vuoto che i nostri “nonni" ci lasciano. Il rammarico di queste perdite deve comunque rinnovare in noi l'impegno per il ricordo, poichè la vita di queste persone e quanto da loro trasmesso non vada mai perso. É infatti per le loro sofferenze subite durante la guerra e per il loro insegnamento dopo, che ora viviamo in libertà e democrazia.
Nel pomeriggio di martedì 5 Aprile si sono svolti a Ponte Buggianese (PT) ile esequie del Reduce Guido Marchesini.
Alla triste cerimonia hanno partecipato Il Sindaco della cittadina e il Comando dei Carabinieri di Ponte Buggianese con il picchetto d'onore.Per la sezione di Milano- Monza Brianza erano presenti Ilario e Wally Nadal con il Medagliere Nazionale.Hanno ricordato Guido come in galantuomo d'altri tempi e un soldato esemplare.
La cara salma è stata accompagnata da tutti fino al Cimitero Comunale dove è stato reso Onore alla Divisione “Acqui". (Ilario Nadal)
In memoria di Leonardo Massaro
E’ un ricordo affettuoso di grande umanità e saggezza quello che serberò per sempre di Leonardo Massaro, classe 1923 di Cassano delle Murge (Ba), la cui scomparsa il 23 marzo scorso assottiglia ulteriormente il numero già esiguo dei superstiti ancora viventi dell’eccidio delle Divisione Acqui a Cefalonia, Corfù e nelle altre isole Ionie.
Qualche anno fa andai a trovarlo per la prima volta per intervistarlo quale sopravvissuto al massacro perpetrato da reparti della Wehrmacht. Mi colpì subito non solo la sua lucida e particolareggiata memoria di quei fatti dolorosi, ma anche la straordinaria mitezza di carattere probabilmente propria di chi ha assistito a tanta crudeltà con la successiva consapevolezza di essere fra i pochi fortunati scampati alla mattanza.
L’accoglienza durante i ripetuti incontri è stata sempre entusiasta e calorosa, anche da parte di sua moglie Lucia. Fiera di condividere da lungo tempo la propria esistenza con una persona speciale, è lei stessa una donna affabile piena di estro creativo e colorita giovialità.
Durante un convegno, organizzato presso il liceo scientifico di Cassano dalla neonata Fondazione Albenzio-Patrino nell’ottobre del 2013, ebbi l’opportunità di far conoscere ad una partecipe e attenta platea la sua vicenda straordinaria. Una lunga odissea iniziata con l’arrivo a Cefalonia nell’agosto del 1943 come soldato del reparto Sussistenza aggregato alla Acqui, dopo un viaggio durato un mese da Caserta attraverso l’Italia e i Balcani; la fucilazione dopo la cattura seguita alla battaglia del 15-22 settembre, dopo l’armistizio (si salvò fingendosi morto); la prigionia in un campo di lavoro tedesco in Serbia; la liberazione da parte dell’esercito russo e la successiva partecipazione alla lotta di liberazione balcanica nelle fila dei reparti partigiani al comando di Tito (di cui ha conservato un attestato di benemerenza); finalmente, dopo un lungo viaggio da una Trieste segnata dalla tragedia delle foibe, attraversando l’Italia lungo il litorale adriatico, l’agognato e insperato ritorno a casa.
Sia dell’intero dramma della Acqui, sia delle singole vicende dei suoi appartenenti, poco si era saputo o voluto far sapere per decenni, per motivi di “opportunità politiche internazionali” legate alla “guerra fredda”. Solo in tempi recenti si è finalmente fatta piena luce su quegli avvenimenti e, seppur tardivamente, eroi “invisibili” come Leonardo, grazie anche alla loro longevità, hanno ricevuto l’attenzione che meritavano al pari delle migliaia dei loro commilitoni caduti, da parte di studiosi e ricercatori e delle stesse istituzioni.
La comunità cassanese e la stessa amministrazione comunale gli avevano recentemente reso omaggio con la consegna di una targa. Sono convinto che, grazie anche al pregevole lavoro della Fondazione Albenzio-Patrino, dell’Anpi e dell’Ipsaic di Bari (diretto dal prof. Vito Antonio Leuzzi che realizzò alcuni anni fa con la testata giornalistica regionale pugliese della Rai l’importante documentario “L’olocausto di Cefalonia”, contenente una testimonianza di Massaro), personaggi come il compianto Leonardo continueranno a rappresentare un esempio per le nuove generazioni per un impegno fattivo nella costruzione e nel mantenimento di un mondo di pace e concordia fra i popoli, obiettivo oggi purtroppo fortemente disatteso.
Personalmente, con il prezioso aiuto di Lucia e dei figli Tonia e Franco, cercherò nel mio piccolo di mantenere viva la memoria del carissimo Leonardo in tutte le occasioni in cui mi sarà possibile far conoscere la sua vicenda storica e umana, anche al di fuori degli stretti confini del nostro comune paese natio.
(Vincenzo Sardone ricercatore “Associazione Percorsi Storici” – Bologna)
(Troverete la testimonianza di Leonardo Massaro nella sezione “Storie")
Lutto nel comitato “Per non dimenticare – Cefalonia 1943”
Scompare l’ultimo reduce teramano dei fatti di Cefalonia
Già poliziotto e autista del Prefetto di Teramo negli anni ‘70
Teramo. Nel tardo pomeriggio di oggi, 19 marzo, presso la casa di riposo De Benedictis di Teramo, è scomparso all’età di 92anni il reduce Giovanni Capanna, l’ultimo militare della provincia di Teramo testimone vivente degli atroci fatti di Cefalonia in Grecia nel 1943. Lascia la moglie Maria Giuseppina Cacchio, il figlio Enrico e il cognato Carlo Cacchio. I funerali si sono tenuti lunedì mattina alle ore 10,30 nella chiesa di San Berardo a Teramo.
Nato ad Arischia (frazione de L’Aquila) il 1 agosto 1923, partito alla volta della Grecia come autiere in forza al 17° fanteria addestramento volontari “Acqui”, nel 1941 parte per il fronte greco-albanese per combattere a Himara, Vunci e Val Shushiza.
Nel 1942, al termine della prima fase del conflitto, viene trasferito sull’isola greca di Cefalonia dove viene catturato dai tedeschi dopo la resa dell'8 settembre 1943 e coinvolto nei famosi e tragici fatti di Cefalonia. In particolar modo ebbe l’ingrato compito di fare la spola, insieme ad altri suoi colleghi autieri, tra i campi temporanei di prigionia e le fosse comuni dove furono trucidati i soldati italiani. Grazie all’aiuto dei partigiani greci riuscì ad evadere ed unirsi alle bande locali per cacciare l’invasore tedesco. Successivamente alla fine della guerra rientrò in patria con mezzi di fortuna, arruolatosi in Polizia, prestò servizio presso vari distaccamenti in alcune località d’Italia, fino ad andare in pensione a Teramo come autista personale del Prefetto di Teramo negli anni ’70, dove peraltro decise di vivere con la sua famiglia.
Giovanni, il 25 aprile del 2007, fu inviato ufficialmente come uno degli ultimi reduci viventi a Cefalonia con l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, primo festeggiamento fuori dai confini nazionali, ed anche nel 2012 partecipò ricevendo alcune medaglie e diplomi ministeriali. Dal 2011, insieme al Comitato “Per non dimenticare – Cefalonia 1943”, costituito per ricordare i militari italiani morti a Cefalonia nel settembre del 1943, partecipava agli incontri culturali con le scolaresche del teramano, in particolar modo a Giulianova, Mosciano Sant’Angelo, Roseto degli Abruzzi ed altri plessi della provincia.
In totale furono 6 i militari teramani morti nella carneficina sotto il fuoco degli ex alleati tedeschi: Giovanni Calvarese, Carabiniere del 7° battaglione, nato a Giulianova il 2 giugno 1920 e fucilato il 23 settembre 1943; Luigi Di Filippo, Carabiniere della sezione mista, nato a Mosciano l’11 settembre 1911 e fucilato il 14 settembre 1943; Antonio Piozzi, Sottotenente del 17° fanteria Aqui, nato a Nereto il 10 gennaio 1920 e fucilato il 24 settembre 1943; Emidio D’Angelo, 33° artiglieria, nato a Sant’Egidio alla Vibrata il 26 novembre 1922 e dichiarato disperso il 23 settembre 1943; Silvio Martella, tenente del 33° artiglieria, nato a Silvi il 26 agosto 1915 e fucilato il 22 settembre 1943; Marco Ciarroni, 33° artiglieria, nato a Teramo il 10 agosto 1916 e dichiarato disperso il 22 settembre 1943.
Per il Comitato “Per non dimenticare – Cefalonia 1943” (Walter De Berardinis)
Il 24 febbraio si è spento il nostro Reduce sig. Nasciuti Giovanni. Abbiamo ancora negli occhi il suo viso sereno e l’espressione felice quando, il 21 dicembre 2015, accompagnato dalla moglie, dal figlio e dalle nipoti, ha ricevuto dalle mani del prefetto di Bergamo la “Medaglia della Liberazione”.
Chiamato alle armi, fu assegnato al 16° reggimento fanteria e successivamente al 101° fanteria di marcia. Il 4 luglio 1943 venne destinato al 317° fanteria Acqui di stanza a Cefalonia.
Il 22 settembre 1943, fu catturato dai tedeschi e deportato in un campo di concentramento in Russia. In seguito, con l’intervento dei militari russi, venne mandato in un campo di prigionia in Germania, prigioniero dei russi.
Rimpatriato il 13 ottobre 1945, nel dicembre dello stesso anno ottiene la licenza di congedo provvisoria e nel 1946 il congedo definitivo, un documento che non lava i ricordi di quei momenti terribili, né impedisce di pensare agli amici-commilitoni che non sono tornati a casa.
Daniella Ghilardini
Addio a Umberto Filippini, sopravvissuto all’eccidio di Cefalonia. Nato nel 1922, era vissuto dal 1954 al 2011 ad Arcene, facendosi benvolere per la sua testimonianza che portava agli studenti delle scuole medie. I funerali dell’ex soldato, scomparso il 17 febbraio, si celebreranno lunedì 22 a Castel Rozzone dove viveva con la moglie Angela, 90 anni. Faceva parte della Fanteria Montagna, divisione «Acqui».
Originario di San Pietro in Cariano, nel Veronese, era stato trasferito da Merano all’isola di Zante dove narrava di aver dormito nella casa di Ugo Foscolo.
Il 10 maggio del 1943 era nell’isola greca di Cefalonia, tre mesi dopo arrivarono i tedeschi. Dopo l’8 settembre erano iniziate le trattative, andate a vuoto, che però portarono il giorno 15 all’inizio della carneficina. «Aveva vissuto momenti drammatici, il ricordo più brutto e assillante era quello della casetta rossa, dove vennero trucidati i suoi compagni a gruppi con massacri continui – ricorda la moglie -. Lui riuscì a salvarsi miracolosamente, perché si trovava lontano».
Filippini aveva ricostruito la sua vita lavorando come casellante per le ferrovie. Nella Bergamasca aveva avuto tre figli: Renato, 65 anni, Gabriele, morto a quarant’anni, e Marino, 50. Lascia cinque nipoti e due pronipoti. «Tornava ad Arcene tutti i giorni in bici per svagarsi con gli amici della Cooperativa anziani, giocavano a carte, chiacchieravano e discutevano, mancherà molto a tutti noi», ha dichiarato il sindaco Giuseppe Foresti. (tratto da www.bergamo.corriere.it)
Giovedì 4 febbraio, ci ha lasciati uno degli ultimi superstiti della gloriosa “Divisio-ne Acqui”.
Casalini aveva appena compiuto 93 anni e proprio lo scorso anno aveva ricevuto la Medaglia d’Onore. La medaglia la ritirai io in quanto Enzo ormai su una sedia a rotelle, non se la sentiva di presenziare in prima persona.
Quando apprese che gli avrei consegnato la medaglia, scoppiò a piangere dalla commozione; lui che non aveva mai dimenticato le angherie ed i soprusi patiti durante la prigionia.
Era effettivo nella compagnia comandata dal Capitano Apollonio di cui era grande estimatore nonostante la fermezza delle sue decisioni. Amava ricordare in partico-lare un episodio: “durante il tempo libero si recava in palestra per sfidare Apollonio alla lotta greco-romana di cui era un grande cultore”.
Era molto amico con Mario Pasquali con il quale aveva convissuto per breve tempo nel campo di Tambov prima di essere trasferito.
Diversi anni fa aveva perso l’unico figlio in un incidente stradale e per la grave perdita subita non si era più ripreso.
Il suo pensiero era sempre rivolto al ricordo del figlio.
Casalini è ritratto nella fotografia sulla destra nel giorno della consegna della medaglia d’onore e del diploma presso la sua abitazione.
Fabrizio Prada
Dalla sezione di Trento Ci è giunta la triste notizia della dipartita di due reduci.
Baldo Rino Germano (foto a sx) classe 1919 deceduto il 31.12.2015 del 33° Reggimento artiglieria a Cefalonia
Loner Ezio (foto a dx) classe 1920 deceduto il 14.08.2015 del 33° Reggimento artiglieria a Corfù. Altri due dei nostri preziosi “nonni” non sono più fra noi. Purtroppo sappiamo che la vita non va oltre a determinati limiti ma averli così a lungo vicini dà l’idea che non debbano mancare mai. (OP)
La Sezione di Pisa della Associazione Nazionale Divisione Acqui con immenso dolore annuncia la scomparsa del Presidente Cap. Lodovico ANIBALDI (nella foto è il secondo da sinistra).
il Cap. ANIBALDI era cugino dell' Art. Primo ROCCHETTI (foto a dx) classe 1923 Caduto a Cefalonia, apparteneva al 33° Reggimento di Artiglieria Sezione Munizionamento e Viveri della Divisione Acqui.
Questa parentela aveva fatto sì che il povero Lodovico dedicasse parte della sua vita alla nostra Associazione sposandone gli obiettivi attraverso l’impegno del mantenimento della memoria, organizzando le cerimonie commemorative a ricordo dei caduti e in onore dei reduci e rendendosi disponibile molte volte in qualità di guida alle mostre sulla Divisione Acqui che le sezioni pisane e fiorentina hanno esposto più volte in varie città della Toscana.
Ma va ricordato soprattutto il suo impegno con le scuole di Pisa, ove si recava a parlare della Divisione Acqui in un fitto calendario durante l’anno scolastico, sempre accolto con calore dagli studenti : e di questo era particolarmente fiero
Ci lascia così una persona importante e un grande punto di riferimento di dedizione e passione per l’Associazione Nazionale Divisione Acqui. (OP)
Ci ha lasciato ieri l'ultimo reduce Anconetano Edgardo Santini. In questa foto lo vediamo mentre ha ricevuto, dal Sindaco di Fabriano la Medaglia d'Argento riconosciutagli dalla Federazione Italiana Volontari per la Libertà insieme alla Associazione Nazionale Divisione “Acqui".
Carissima ed amabile persona, Edgardo nasce a fabriano nel luglio del 1922 e, giubta l'età per il servizio militare viene richiamato ed aggregato alla Divisione Acqui in qualità di geniere telegrafista. Il trasferimento sulle isole Ionie lo vede sbarcare prima nell'isola di Corfù e poi , dopo una sosta a Tirna per un corso da paracadutisti, viene trasferito nell' isola di Lefkada. Vive, dopo l' 8 settembre i cruenti contrasti con i tedeschi i quali lo presero poi prigioniero
La notte del 21 setembre riusci a fuggire e a riparare in terraferma e unendosi al movimento partigiano greco, partecipò alle operazioni della resistenza fino al suo rientro in Italia nella tarda primavera del 1945. Autore del libro delle sue memorie " Partigiano in Grecia" lo distribuiva in omaggio con l'orgoglio di aver appartenuto alla Divisione di Fanteria Acqui e ha operato nella sua città affinchè il ricordo di quei soldati non venisse mai a mancare. Dopo la perdita del Fante Arduino Federici, scomparso 20 giorni fa, Edgardo era l'ultimo reduce censito delle Marche.
Nell'anno in corso, ovvero, l'anno del 70° anniversario della Liberazione abbiamo perso, almeno sino ad ora, dieci dei nostri amati reduci. In occasione di questa importante ricorrenza il Ministero alla Difesa ha deciso di conferire a tutti i reduci di guerra la Medaglia della Liberazione.
A tutt'oggi le medaglie non sono ancora state consegnate, le prime le conferiremo noi alla manifestazione nazionale a Verona il 18 settembre p.v. per le altre dobbiamo affidarci alla volontà delle Prefetture competenti.
10 dei nostri nonnini non hanno potuto godere di quella che poteva essere l'ultima grande gratificazione della loro vita, come Associazione l'elenco lo avevamo già trasmesso entro il 30 marzo, auguriamoci quindi che la burocrazia provveda il più celermente possibile al conferimento delle medaglie a chi resta.
A nome e per conto della Famiglia Federici di Monte San Vito (An), si comunica che il Signor Arduino Federici, è venuto a mancare, l' 11 settembre, presso l'Ospedale " Carlo Urbani" di Jesi (An).
Il Signor Arduino ha prestato Servizio nella Divisione Acqui a Cefalonia nel Settembre 1943, appartendo al 317° fanteria II Battaglione 6 Compagnia e ne è stato l'ultimo superstite marchigiano.
Certi che il Suo ed il Vostro pensiero saranno con noi, ringrazio sentitamente.
Sempre l'11 settembre, si è spento a 96 anni Vittorio Micheloni, reduce di Cefalonia, amato e stimato da tutto il paese, conosciuto per il suo lavoro di panettiere e per il ruolo di giocatore e allenatore della squadra di calcio del San Martino. Nel 2003, con altre tre reduci, ricevette dall'allora sindaco Mario Lonardi il Martino d'oro, riconoscimento che l'amministrazione aveva istituito proprio quell'anno per i suoi cittadini che più si erano distinti nei diversi ambiti.
Persona di tempra e carattere forte, viveva ancora da solo, con i figli Renzo, Luisa e Franco che gli erano spesso vicini ma che lui voleva stessero con le loro famiglie. Non si spaventava della solitudine né della vecchiaia dopo aver visto cose indicibili in guerra e nella prigionia.
Bartolini Isano, da Anacleto e Adele Modelli; n. il 9/10/1923 a Medicina; ivi residente nel 1943. III elementare. Boaro. Prestò servizio militare in Grecia. Prese parte ai combattimenti contro i tedeschi a Cefalonia (Grecia) nelle fila della divisione Acqui.
Fatto prigioniero, venne internato in campo di concentramento in Austria dal 15/10/43 all’8/5/45. Riconosciuto partigiano dal 9/9/43 alla Liberazione.
Poffetti Italo è nato a Erbanno di Darfo l’8 Agosto del 1917. Chiamato a fare il militare nel 1938 presso il Centro Addestramento Reclute (C.A.R.) a Genova, poi in Val Maira in Piemonte nel terzo settore della Guardia Frontiera. Al termine della guerra con la Francia fu inviato a Merano dove è stata ufficialmente formata la Divisione Acqui alla quale è stato aggregato.
Nel 1940 trasferito a Valona in Albania. Quando la campagna d’Albania è finita invece della Russia è stato destinato a presidiare le isole Greche e precisamente a Corfù con il 18° Fanteria, nella decima Compagnia. A Corfù c’erano altri militari, del Trentino Artiglieria, dei Marinai. Italo di ruolo era Portaferiti e portava la fascia con la Croce Rossa sulla manica della divisa.
In una intervista rilasciata a il 10 novembre 2014 riportata integralmente sul volume “la terza età della Resistenza” di Tullio Clementi e Luigi Mastaglia, Italo tra le altre cose ha detto:“A Cefalonia, molti soldati sono morti negli scontri e sotto i bombardamenti tedeschi, quelli rimasti sono stati massacrati, la maggior parte degli ufficiali presso la casa rossa e i soldati fucilati e mitragliati mano a mano che venivano catturati. Anche a Corfù gli ufficiali sono stati arrestati, portati nella fortezza e fucilati … Quando i tedeschi mi hanno catturato, e portato a Gianina, era già pronta la tradotta per partire per la Germania.
Intanto che aspettavamo di essere caricati, io ho chiesto se potevo andare al gabinetto. Mi è stato concesso, appena dentro ho visto che in alto c’era un finestrino che dava sul giardino e senza pensarci due volte mi sono lanciato fuori. Naturalmente hanno iniziato a cercarmi ma mi ero nascosto bene e dopo aver girovagato per la campagna ho visto passare una signora, l’ho chiamata ed ho chiesto aiuto. Sono poi, riuscito a nascondermi nella casa di un Prete a Chiarasunta …”. Il Sacerdote, dopo averlo ospitato per qualche giorno lo ha consigliato di consegnarsi direttamente al comando Partigiano. Italo così continua la sua testimonianza: “…Sono stato accolto (dai Partigiani) e sono rimasto con loro per parecchio tempo, ho partecipato anche ad azioni militari, poi mi hanno imbarcato su un sommergibile e mi hanno portato a Taranto dove sono stato aggregato ad un’armata americana. …
Sono stato con loro (con gli Americani) fino alla fine, mi ricordo che sono entrato con loro nella città di Milano, sono passato con la colonna anche in Piazzale Loreto ed ho visto Mussolini, la Petacci e tre dei suoi gerarchi appesi in questa piazza … Quando siamo transitati a Iseo, ho chiesto se potevo fare una scappata a casa. Il Comandante mi ha concesso un permesso raccomandandomi di rientrare presto, perché averi potuto essere in pericolo. Sono arrivato a casa alle tre di notte, ho visto i miei genitori ed il giorno dopo mi sono ricongiunto alla colonna. Il Comando era a Bologna … Tutti quelli che erano militari dell’Esercito Italiano erano aggregati ai reparti degli Alleati, io prevalentemente facevo servizi ero in una Compagnia Comando e ci facevano fare molte guardie. Sono stato a Roma, a Bologna e come dicevo anche in alta Italia alla fine del conflitto. Non ho mai partecipato ad azioni di guerra …”
Il 30 settembre del 1945 Italo Poffetti è stato congedato. Sposato, con tre Figlie, durante la sua lunga e serena vita ha partecipato numerose volte, insieme alla Moglie, alle gite organizzate con i superstiti della Divisione Acqui per visitare Corfù e Cefalonia, per rivedere i luoghi della gioventù e per rendere omaggio alle migliaia di vittime, martiri di una incredibile bestialità. Italo non è mai mancato alle cerimonie che le varie Associazioni, ogni anno, organizzano a ricordo dei Caduti di tutte le guerre ed in particolare della guerra di Liberazione alla quale la sua Divisione ACQUI con l’eroico rifiuto di consegnare le armi ha dato inizio alla Resistenza contro il nazifascismo. L’ultima sua partecipazione è stata il 25 Aprile del 2015 a Darfo Boario Terme durante la ricorrenza del settantesimo anniversario della Liberazione, nell’occasione a lui, come a tutti i reduci superstiti è stato consegnato un diploma di Fedeltà alla Resistenza stampato su pergamena a cura del Comitato Organizzativo Unitario per il 25 Aprile Vallecamonica.
Italo Poffetti ha terminato la sua permanenza terrena il 26 Luglio 2015, durante la sua malattia, assistito amorevolmente dalla Moglie, dalle Figlie, Generi e Nipoti, ha sempre mantenuto una serenità ed una lucidità mentale encomiabile. Negli ultimi giorni di vita ha incaricato la cara Moglie di donare all’Associazione delle Fiamme Verdi Camune, la bandiera della Divisione ACQUI, quella stessa bandiera che la Moglie aveva amorevolmente confezionato e che Italo portava con orgoglio in tutte le manifestazioni. La bandiera verrà esposta nel Monumento realizzato a Sonico nello stabile ex Corpo di Guardia della Polveriera a testimonianza della preziosa, fattiva partecipazione della Divisione ACQUI alla Guerra di Liberazione del nostro Paese.
Nota a cura di Luigi Mastaglia
A volte, come in questo caso, capita di trovare informazioni su reduci della Divisione Acqui di cui L'Associazione non era a conoscenza. Da un articolo del notiziario dei “Marinai d'Italia" tramite Valerio Mariotti, siamo venuti a sapere di quest'altro reduce di Cefalonia al quale ci sembra doveroso riconoscere un giusto spazio in questa rubrica.
CHIESANUOVA. Si svolgono questa mattina, lunedì 15, alle 10,30, a Chiesanuova, i funerali di Cesare Ronchetto, 91 anni, ultimo dei militari canavesani scampati all’eccidio nazista di Cefalonia. Ronchetto, nel 2009 ricevette, dalle mani del presidente della Provincia, Antonio Saitta, e del sindaco di Chiesanuova, Giovanni Giachino, l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica.
«A Cefalonia non ho fatto altro che il mio dovere – aveva commentato Ronchetto .
Penso che le guerre non dovrebbero più esistere, e chi vuole farle per i propri interessi dovrebbe parteciparvi in prima persona. Non decidere per gli altri».
Cesare Ronchetto partì da Chiesanuova il 1º ottobre 1941 per svolgere il servizio di leva nella marina a La Spezia. Dopo un corso di mitragliere puntatore a Pola, il 10 luglio 1942 venne destinato ad Argostoli, nell’isola di Cefalonia.
Dopo l’8 settembre 1943, i tedeschi chiesero al Comando italiano di arrendersi imponendo la clausola del totale disarmo. Al rifiuto partì la rappresaglia che portò alla morte oltre 9mila soldati italiani e numerosi abitanti dell’isola.
«Era il 22 settembre e, quella mattina, presi il moschetto, lo zaino tattico e quello del corredo e raggiunsi la collina dove trovai il mio amico Maggiorino Prola di Castellamonte, ma i tedeschi ci fecero prigionieri – raccontò Ronchetto . Il massacro degli italiani era già avvenuto e non so perchè fummo risparmiati». Condotti ad Atene e poi in Serbia, Ronchetto e colleghi rimasero fino all’ottobre 1944 quando giunse l’Armata Rossa a liberare il territorio. Il rimpatrio avvenne il 17 luglio 1946. Ronchetto, una vita da agricoltore, lascia la figlia Eliana e la sorella Dantina. (da La Sentinella del Canavese del 15/04/2013)
In data 25 luglio 2015 ci ha lasciati Giovanni Brignoli di anni 94 supestite della Divisione Acqui; abitava a Guardasone Fraz. di Traversertolo.
Sono stato avvisato del decesso dalla nipote che aveva desidero che una rappresentanza della Sezione di Parma partecipasse alle esequie che si sono svolte in data 28 luglio alle ore 17,00 presso la chiesa parrocchiale di Vignale Fraz. di Traversetolo.
Alla cerimonia erano presenti oltre ai familiari, parenti ed amici, il sottoscritto, Marzia Pasquali e Paolo Azzali con il labaro dell’Associazione.
In rappresentanza di tutti gli associati, sono state rivolte alla sorella ed ai nipoti le più sentite condoglianze anche da parte di tutto il Consiglio Nazionale dell’Associazione.
Dalla nipote ho saputo che dopo l’otto settembre 1943, Brignoli Giovanni fu fatto prigioniero ed imbarcato sulla prima nave che partiva dal porto di Argostoli alla volta dei campi di concentramento in Germania e che fu affondata appena dopo la partenza.
Brignoli si salvò perché riuscì ad aggrapparsi ad una tavola che lo tenne a galla fino alla riva.
Fabrizio Prada
Segnalo, con profonda tristezza nel cuore, la scomparsa di Tommaso Martino BRUNO avvenuta lunedì 6 luglio 2015.
Aveva fatto parte del 94° Gruppo Artiglieria nella zona Spilea – Chelmata a Cefalonia. Di lui si parla sul n° 39 del Notiziario ANDA, quando avevo informato l'Associazione circa il suo sorprendente “ritrovamento" ben 70 anni dopo i tragici avvenimenti del settembre 1943.
CIRIÉ – La “vecchia quercia", com'era affettuosamente chiamato in famiglia, è caduta. Tommaso Martino Bruno, reduce da Cefalonia è scomparso lunedì 6 luglio a San Maurizio, dov'er~ degente. Nato 91 anjni fa a Tiriolo, in provincia di Catanzaro, ma da trent'anni residente a Ciriè, era l'ultimo testimone vivente nella nostra zona del massacro dei soldati della Divisione Acqui perpetrato nell'incantevole isola greca dai tedeschi nel settembre 1943.
Da poco tempo il caporale del 94° gruppo artiglieria aveva trovato la forza di raccontare , a chi scrive, l'indicibile esperienza di essersi salvato dalla fucilazione fingendosi morto sotto i corpi sanguinanti degli sventurati compagni. Riuscì a fuggire dall'isola, ma fu nuovamente catturato e internato in Germania. Solo la forte tempra e la solidarietà di uno studente lo tennero in vita.
Nonostante brutalità e condizioni penose, cui fu costretto dagli aguzzini, rifiutò le offerte di rientrare in Italia per servire la Repubblica di Mussolini e combattere contro fratelli italiani. Un gesto coraggioso, che, moralmente , lo equipara ai partigiani. Un anno fa gli fu concessa , meritatamente, la medaglia d'onore istituita dalla presidenza deIla repubblica. Lui ne andava fiero.
Al funerale, svoltosi nella mattinata di mercoledì 8 luglio a Ciriè, Tommaso ha ricevuto anche l'omaggio e la sincera gratitudin delle sezioni Anpi di Ciriè e San Maurizio. (Franco Brunetta, da il Risveglio- Ciriè 9 luglio 2015)
Il caporal maggiore Nicola Fierro faceva parte della seconda batteria del terzo gruppo da 75/27 contraerea comandata dal capitano Amedeo Arpaia, il suo nome è riportato nell’elenco, redatto dal ser-gente maggiore Saverio Perrone, a pagina 323 del libro di Don Romualdo Formato: “L’Eccidio di Cefalonia” editore Mursia 3ª edizione 1970.
La seconda batteria detta “dei Filosofi” era situata a Cima Telegrafo, luogo che fu teatro della battaglia del 15/16 settembre 1943 e subì parecchi bombardamenti.
In questo contesto si trovò il caporal maggiore Nicola Fierro che fu catturato dai tedeschi e subì la susseguente prigionia nel continente sovietico. La sua batteria è ancora ricordata da una cappelletta fatta erigere a Cefalonia di fianco all’odierno monumento a Cima Telegrafo. Alle spalle della cappelletta resistono ancora ruderi della ca-sermetta della batteria dove anche il povero Nicola Fierro sarà stato. (OP)
È venuto a mancare il reduce nato a Berceto (PR) il 21 settembre 1918 e viveva Guinzate (CO).
Chiamato alle armi all’inizio del 1939 assegnato al 17° reggimento Guardia alla Frontiera, Saluzzo – Divisione Acqui.
I programmi di addestramento lo portano a Silandro in val Venosta, a San Pellegrino in val Brembana, sul massiccio dell’Oltles. 1940 campagna di guerra contro la Francia, combatte al Colle della Maddalena. Ottobre 1940 In Albania per la campagna di guerra contro la Grecia, combatte a Tepeleni, sulla Vojussa, Argirokastro.
Aprile 1941 trasferimento a presidio e difesa nelle isole Ioniche, a Cefalonia. Compagnia Co-mando Reggimentale. Gli viene assegnata la gestione dei magazzini e dello spaccio reggimentale, capo-ralmaggiore.
L’8 settembre 1943 lo trova ad Argostoli, dove viene impiegato nella difesa del Comando di Di-visione Al termine dei combattimenti viene accolto da una famiglia del posto (Kondoiannatos) con cui aveva allacciato legami di amicizia nei mesi di presidio e nascosto, anche a rischio della loro vita.
Successivamente ai fatti conclusivi della tragedia, trasborda sulla terra ferma con l’aiuto dei partigiani greci. Inizia il viaggio verso l’Italia attraverso i Balcani, l’Ungheria e l’Austria solo e con altri, fino a Trieste. Travestito da ferroviere raggiunge Parma e a piedi Berceto, poco prima del Natale 1943.
Superate anche le vicende dell’ultima parte del conflitto nella sua valle, il 2 giugno 1945 sposa Piera ed inizia una nuova vita che lo vede prima a Milano nel 1949, poi a Guanzate Co, vicino al figlio Angelo.
Fabrizio Prada
Un altro degli ultimi reduce della nostra amata “Divisione Acqui” ci ha lasciati.
Purtroppo non ci è dato sapere molto di questo superstite di Cefalonia, ma lo ricordiamo con affetto e tenerezza. Abitava a Verona in via della repubblica. (OP)
Avrebbe compiuto 95 anni il prossimo 28 agosto, ma purtroppo, il Ten. Colonnello Mario Baroni si è spento il 3 maggio u.s.
Reduce di Cefalonia, faceva parte del I° battaglione del 317° reggimento fanteria “Acqui”. Anche se di presidio sulla costa orientale dell’isola, il 13 settembre ’42, il suo Battaglione fu richiamato sulla costa opposta per cercare di arginare l’attacco tedesco e riconquistare l’importante nodo strategico di Ponte Kimonico.
Orgoglioso di aver appartenuto alla Divisione Acqui, ha trascorso la sua vita nel ricordo della stessa e dei suoi compagni caduti contribuendo in modo fattivo e continuativo alle attività della nostra Associazione presiedendo per moltissimo tempo alla sezione della sua città: Massa Carrara.
La foto lo riprende durante il viaggio a Cefalonia, il 25 aprile 2007; al seguito del Presidente del-la Repubblica, On. Giorgio Napolitano, primo Presidente italiano a commemorare questa importante e nazionalissima data.
Tenero e scanzonato riusciva sempre a tener allegra la compagnia alternando la sua allegria a seri momenti nel ricordo degli episodi di guerra. (OP)
Buizza Bernardo 1923 – 317° Fanteria – Cefalonia – Brescia
Calzavara Anton Ermanno 1920 – CCRR 30ª Sezione Corfù – Brescia
Calzolari Zeno 1923 – 7° Gruppo Cannoni Corfù – S. Prospero (MO)
Carugati Carlo Caslino al Piano (CO)
Fantoni Savino 1917 – CC. RR. 30ª Sezione – Corfù – Pavia
Gazza Gino 17° Fanteria – Cefalonia – Mamiano Traversetolo (PR)
Giacopuzzi Marcellino Negrar (VR)
Golini Angelo 1921 17° Fanteria – Cefalonia S. Secondo P.Se (PR)
Iorini Ezio 1922 317° Fanteria – Cefalonia – Corniglio (PR)
Melegari Gino 317° Fanteria – Cefalonia – Felino(PR)
Monassi Adino 1922 – Buia (UD)
Poli Pietro 1921 – Quinto di Valpantena (VR)
Primo Orlandi 1923 – 317° Fanteria – Fiesse BS
Tondelli Massimo 18° Fanteria – Corfù Parma
Trevisan Marino Redipuglia (GO)
Villani Giovanni 1919 – Cefalonia – Roma
Zorzenon Argante Gastone, Marò s.v. classe 1923, matr. 123933, abitante a Romans d’Isonzo (GO) deceduto il 29 dicembre 2014. Era arrivato a Cefalonia quattro giorni prima dell’annuncio dell’armistizio con gli alleati. Era destinato alla batteria da 120/30 in allestimento a capo Vljoti, all’estremo nord di Cefalonia e provvisoriamente al servizio di guardia del deposito carburanti della Marina in località Drapano.
La sera del 21 settembre venne catturato dagli alpini tedeschi che lo adibirono per il trasporto di munizioni fino in località Troianata, dove il mattino dopo venne accentrato assieme ad altri prigionieri e sottoposto a fucilazione. Ferito alle gambe e alla mano sinistra, venne letteralmente seppellito dai corpi che gli caddero addosso. Ritenuto morto sfuggì al colpo di grazia.
Rimase sotto i cadaveri in istato di semi coscienza per qualche tempo, poi si nascose nei paraggi, ma venne scoperto da altri soldati tedeschi che lo portarono all’ospedale civile di Argostoli dove, curato da infermieri e da un medico italiano, rimase una settimana. Dimesso venne rinchiuso nel cortile delle carceri di Argostoli e poi assieme agli altri inviato nei boschi a tagliare della legna.
A fine dicembre 1943, assieme ad altri prigionieri, venne inviato a Patrasso, poi ad Agrinion e quindi ricoverato nell’ospedale di Arta dove gli amputarono l’indice sinistro.
Il 16 settembre 1944 venne inviato prima a Belgrado e poi fatto proseguire per Vienna, ma riuscì a eludere la sorveglianza dei tedeschi e montare su un treno ospedale che rimpatriava lavoratori italiani ammalati. A fine ottobre 1944 arrivò ad Udine e quindi a casa.
Era ritornato a Cefalonia tre volte di cui una con la moglie Gilda.
Elio Sfiligoi
GÅstin Karlo, fante, classe 1923, abitante a Monrupino/Repentabor presso Trieste, deceduto il 20 gennaio 2015 Triestino di etnia slovena, il 2 ottobre 1942, appena diciottenne, senza preavviso, venne prelevato dai carabinieri e condotto prima a Gorizia da dove, assieme ad altri giovani sloveni della stessa età, venne inviato ad asti in Piemonte ed incorporato nel 20° battaglione fanteria (chiamato “speciale” perché composto da soli sloveni considerati “Alloglotti”).
Il 6 marzo 1943 il battaglione venne inviato per ferrovia a Mestre (VE) dove venne disarmato e fatto proseguire per la ferrovia dei Balcani fino ad Atene. Quivi il battaglione venne diviso in tre compagnie (215ª. 216ª e 217ª), quest’ultima, dove c’era il fante Guštin, venne trasportato con la ferrovia del Peloponneso fino a Patrasso e quindi via mare nell’isola di Corfù (Kerkira), dove arrivò a fine marzo 1943.
Dopo l’8 settembre 1943 partecipò ai combattimenti contro gli alpini tedeschi della divisione “Edelweiss” e fatto prigioniero. Dopo alcuni giorni inviato sul continente ed adibito a lavori stradali, prima in territorio greco e oi in Serbia dove durante un attacco partigiano riuscì a dileguarsi e dopo pochi giorni raggiunse la 3ª compagnia del terzo battaglione della 6ª brigata partigiana serba, unità della seconda divisione d’assalto dell’Armata Jugoslava, dove rimase fino alla liberazione.
Nel dicembre 1945 venne smobilitato e ritornò a casa a Monrupino/Repentabor a pochi chilometri da Trieste, dove, dopo la morte del padre, divenne proprietario di un ristorante- alloggio a conduzione familiare.
Elio Sfiligoi
Si è spento all’età di 92 anni uno degli ultimi superstiti della battaglia di Cefalonia nella quale i militari italiani si rifiutarono di consegnare le armi ai tedeschi combattendo strenuamente contro di loro fino alla capitolazione.
Angelo Marcantoni era nato a Nocera Umbra nel 1922 e abitava nella frazione di Sorifa. Chiamato alle armi ancora ventenne svolse servizio in Grecia. Fu ferito il 17 settembre del 1943 da un mitragliamento aereo durante i bombardamenti tedeschi su Cefalonia. Venne anche fatto prigioniero e deportato in Germania, poi liberato dalle truppe alleate nel 1945. Nel 1968 si era trasferito a Roma dove lavorava presso il ministero degli affari esteri.
Alla cerimonia religiosa, tenutasi nel cimitero del capoluo-go, erano presenti le figlie Nunziatina e Silvana, il genero Giancarlo Vita, i compaesani, il sindaco Giovanni Bontempi, il comandante della forestale di Nocera Sandro Ercolani e della Polizia municipale Vit-torio Mirti. La sezione Anpi 17 aprile, di Nocera Umbra, ha espresso il proprio cordoglio per la scomparsa dell’anziano reduce. (da Corriere dell’Umbria 16/11/14)
Nel mese di dicembre 2014 è purtroppo deceduto Giuseppe (Jože) Renar, ex fante della 217ª Compagnia lavoratori del Genio stanziata a Corfù
Era nato il 1° marzo 1923 e proveniente da Asti, arrivò nell’isola a fine marzo 1943. Ha partecipato alla difesa dell’isola contro lo sbarco dei tedeschi nel settembre 1943.
Fatto prigioniero rimase a Corfù per qualche tempo e poi trasferito sul continente, nel campo di con-centramento di Paramitia. Nel freddo inverno venne trasferito prima nel Kosovo poi in Ungheria dove subì il congelamento delle gambe lei cui conseguenze, dopo la guerra, gli causarono l’amputazione della gamba destra.
Nel 1944 assieme ad altri prigionieri riuscì a fuggire e ad aggregarsi all’Armata Rossa e combattendo raggiunse Belgrado e quindi passò al 5 Battaglione sloveno della 1ª Brigata Krajinska con la quale parte-cipò ai combattimenti sul fronte dello Srem (Serbia), in quell’occasione fu anche ferito.
Dopo la convalescenza partecipò ai combattimenti per la liberazione della Bosnia, Slavonia, il sud dell’Ungheria per poi finire la sua strada di guerra nella Carinzia austriaca.
Nel 1947 venne smobilitato ed elesse domicilio a Lubiana. Come appartenente alla 1ª Brigata slove-na, formata dai russi, in occasione dell’anniversario della vittoria sul fascismo, venne decorato con la Me-daglia al, Valore dal presidente russo Jelcin.
Negli ultimi anni di vita faceva il volontario come attivista della Croce Rossa.
Elio Sfiligoi
Piedimonte Matese. E’ morto il Caporal maggiore Vincenzo Fontanella uno degli ultimi reduci di Cefalonia. Aveva 96 anni.
Vincenzo Fontanella scampò all’eccidio di Cefalonia. In massima parte i soldati presenti facevano parte della divisione Acqui, ma erano presenti anche finanzieri, Carabinieri ed elementi della Regia Marina. Analoghi avvenimenti si verificarono a Corfù che ospitava un presidio della stessa divisione Acqui.
In quei momenti così drammatici il Caporal maggiore Fontanella però fu letteralmente baciato dalla sorte: pensate che lui si salvò dalla fucilazione semplicemente perché era colui che trasportava i militari che dovevano essere passati alle armi.
Al ritorno dall’ultimo viaggio, carico di militari por-tati a morire, certamente non poteva aspettarsi nulla di buono. Giunto a destinazione però il comandante per reazione gli diede un calcio nel sedere e gli disse di andar via. La sua vita era salva.
Pensate, si legge nella sua biografia, che i genitori del Caporale avevano perso ogni speranza sul suo rientro. Una volta giunto a Piedimonte Matese dopo aver vissuto momenti di grande, grandissima tensione emotiva nel riabbracciare il proprio figlio, per ringraziamento fecero edificare la Cappellina che tuttora è presente sulla strada Provinciale Piedimonte una testimonianza indelebile ma soprattutto un grande esempio d’amore tra un figlio e i propri genitori.
L’associazione Combattente e Reduci di Piedimonte Matese gli ha anche conferito la cittadinanza onoraria con un’Assemblea nella seduta di Domenica 13 ottobre 2013, con le stesse motivazioni che potete leggere nella sua straordinaria esperienza. Oggi purtroppo il destino che lo aveva protetto e letteralmente strappato dalla morte, in tante occasioni, ha detto basta alla sua vita terrena. Con lui, inutile aggiungere altro, se ne va una grande uomo, un grande padre, un grande amico.
Ecco la sua straordinaria esperienza
Caporale Vincenzo FONTANELLA nato a Piedimonte Matese (CE) il 28.01.1918 ed ivi residente in Via Cupa Carmine, 3 Arruolato il 02.04.1939 a Napoli II° Reggimento Artiglieria Contraerei – II° Gruppo – II^ Batteria Gruppo autonomo – (Comandante Capitano ARPAIA Amedeo); Trasferito il 10.06.1940 a Colleferro (RM) vi rimane fino alla fine del mese di ottobre 1940; A fine ottobre 1940 parte per la Campagna d’Albania dove partecipa per l’intera campagna; Agli inizi del settembre 1941 ritorna dall’Albania a Napo-li e vi rimane per circa un mese; Alla fine del mese di settembre 1941 parte per Cefalonia dove viene al-locato presso il Quartier Generale della Divisione Acqui, sotto il Comando, prima del Generale Luigi MAZZINI e poi del Generale Antonio GANDIN.
Assegnato al Reparto motorizzato, il cui Comandante era il Maggiore AMORETTI, vi rimane fino a Dicembre 1944; Scampato alla fucilazione da parte dei Tedeschi perché autista, viene, dagli stessi, utilizzato per il trasporto alla “Casina Rossa”dei suoi commilitoni che, ivi giunti, vengono passati per le armi e ammassati in fosse comuni; Rimane prigioniero a Cefalonia fino alla fine del 1945; Rientra in Italia alla fine del 1945 con il Capitano Renzo APOLLONIO. (da Italia News 24 del 29-08-2014)
É venuto a mancare il caro Arturo Borghi, terzultimo reduce vivente nella Provincia di Bologna. Reduce della vicenda di Cefalonia ha vissuto una vita intera nel ricordo di quei tristi giorni affrontando diversi viaggi per rivedere i luoghi nei quali era stato e dove aveva vissuto le sue esperienze da militare.
Prima a Katoki, nei pressi della città di Missolungi, dove la gente del posto lo aiutò a sopravvivere ed alla quale sarà eternamente grato. Corfù e Cefalonia le altre tappe del suo percorso bellico. Fu con noi a Cefalonia al seguito del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al quale ebbe la soddisfazione di stringere la mano. (op)
Arturo Borghi nasce a Bomporto (Mo) il 23 aprile 1922. Riceve la chiamata alle armi nel gennaio del 1942. Mandato a Bolzano viene aggregato alla IV Compagnia di Sussistenza e compie l’addestramento reclute. Il 15 luglio dello stesso anno, sulla nave Doninzetti, parte da Bari alla volta di Corfù dove rimane per un anno. Approda a Cefalonia il 4 agosto 1943. Viene mandato subito sul monte Roudi con il compito di raccogliere legname e vi rimane anche durante la battaglia non venendone coinvolto.
Avvisato dei massacri tedeschi a danno dei soldati italiani, rimane nascosto nei boschi per un mese per poi raggiungere il porto della città di Sami, dove un greco lo trasborda sulla costa greca nei pressi di Missolungi. Arrivato al paese di Katochì vive un anno di stenti fra la fame e le febbri malariche, aiutato dalle famiglie del luogo alle quali sarà sempre riconoscente. Nel novembre del 1944 viene informato sulla presenza, a Patrasso, di navi inglesi che rimpatriano gli Italiani. Rimpatriato a Taranto riesce a raggiungere la sua casa solo nel giugno del 1945.
Il 3 maggio di quest’anno è venuto a mancare il Reduce del 317° reggimento fanteria Giovanni Ferretti nella foto mentre riceve la medaglia d’onore dall’Onorevole Letta.
Giovanni Ferretti, era inquadrato nel 3° battaglione. Dopo Zante, a Cefalonia, il suo reparto si accampò nei pressi del villaggio di Kardarata fino al 9 settembre’43, quando venne richiamato ad assestarsi nei pressi del cimitero di Argostoli. Partecipò ai primi scontri contro i Tedeschi venendo catturato il 21 settembre.
Il suo gruppo subì l’ immediata fucilazione,ma lui svenne e quando si svegliò si trovò in mezzo ai corpi dei suoi compagni uccisi. Ripreso dopo due giorni venne imprigionato alla caserma Mussolini per poi essere imbarcato e mandato in prigionia. Atene, Salonicco,Belgrado, Nisc e Smeredevo (Serbia) da dove rimpatriò solo alla fine del l 1946.
La redazione chiede umilmente scusa ai famigliari di Giovanni Ferretti per non aver pubblicato a tempo debito questa triste notizia, causa una colpevolissima dimenticanza che in questi casi non dovrebbe mai accadere. La redazione spera nel perdono della figlia Anna Maria Ferretti, di suo marito Sergio e di suo figlio Giacomo, confidando di aver parzialmente rimediato all’errore commesso.
Orazio Pavignani
Sono un lontano parente del Sig. Gino Vaccari e volevo comunicarVi che ieri sera è deceduto nella sua casa di Birbesi, una frazione di Guidizzolo nell’Alto Mantovano.
Spero di fare cosa gradita all’Associazione e di rendere merito alla Sua memoria, inviandovi qualche documento che testimonia la Sua vicenda umana e segnatamente quella vissuta a Cefalonia.
Allego il foglio matricolare ed un paio di articoli della stampa locale.
Ho conosciuto Gino solo recentemente, abito distante da Lui, ma mi ha colpito la dignità con cui raccontava quei giorni, con semplicità, senza enfasi , senza retorica, senza rancore.
L’unico suo cruccio era la trascuratezza o la superficialità con cui alcuni liquidavano la strage di Cefalonia come “cosa vecchia e passata” e di come la politica in nome della ragion di stato avesse rinunciato a richiedere almeno una simbolica giustizia.
Non si lamentava più di tanto della vita, che non gli ha risparmiato dolore: non conobbe mai suo padre, morto quattro giorni prima della fine della Prima Guerra Mondiale, sepolto lontano da casa al Tempio della Pace a Padova; Cefalonia; la prigionia e la fame in Germania, dove disse ”noi italiani eravamo i più reietti dei prigionieri perché considerati traditori, quindi sfamati per ultimi e solo se avanzava qualcosa”; il ritorno a casa dalla Germania a piedi, pesava solo 38 Kg; la miseria dei primi anni del dopoguerra.
Ringrazio l’Associazione per quanto fa per mantenere viva la memoria di quei tragici fatti e perché la testimonianza di chi c’era è un insegnamento e un monito per tutti noi che siamo venuti dopo. (La sua storia)
Fabio Galvani
Carissimi amici, purtroppo ha intrapreso l'ultimo viaggio l' Artigliere Cav. Piero Martini Reduce della Divisione Acqui 33° Rgt Artiglieria. Ci ha lasciati all' età di 93 anni.
La sua intervista memoria è presente nel DVD ONORA IL PADRE oppure on-line sul sito www.isaremi.it.
Piero era nato il 14 luglio 1921 a Ponte Egola in provincia di Firenze e come tanti altri soldati aveva subito la sconfitta a Cefalonia nella battaglia contro i Tedeschi e la conseguente prigionia, (dopo essersi salvato dal terribile eccidio perpetrato dalla Wehrmacht
nei confronti dei soldati Italiani che venivano catturati o che si erano arresi) prima a Cefalonia poi nei campi di internamento dell'Europa Orientale.
L'associazione perde così un'altro testimone della tragica vicenda occorsa alla Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù in quel tragico ed eroico settembre 1943.
Purtroppo ' venuto a mancare Pasquale Acito (Altavilla Silentina) , l'altavillese scampato all'eccidio di Cefalonia. Ho deciso di scrivere questo articolo dopo aver letto l’ultimo lavoro, ancora non pubblicato, di Padre Antonio Polito “L’artigliere altavillese sopravvissuto a Cefalonia”. In esso, Padre Antonio, ha voluto ricordare la figura di Biagio Paruolo, artigliere della Divisone Acqui dislocata nell’isola greca di Cefalonia nell’ultimo conflitto mondiale, scampato per miracolo, insieme al compaesano Pasquale Acito, all’eccidio perpetrato dai Tedeschi sull’isola greca nel settembre 1943.
“Dopo aver letto il suo diario di guerra”, dice Padre Antonio, “si capisce come la paura , il terrore, i sacrifici hanno “massacrato” in quei tristi giorni, e nei successivi due anni, il cugino Biagio e l’amico Pasquale. Lo scritto vuole essere un riconoscimento a Biagio Paruolo e la sua famiglia, quel riconoscimento che avrei voluto rendergli in vita cristiana ma che varie circostanze, nonché la sua morte prematura, l’hanno impedito”.
Sull’isola greca di Cefalonia fu compiuta dai tedeschi , durante la II guerra mondiale, una strage nella quale furono trucidati migliaia di soldati italiani, i superstiti furono pochissimi e tra di essi i due altavillesi.
All’età di 86 anni, Pasquale Acito mi racconta, emozionato e con orgoglio, la sua triste storia: “Dopo l’armistizio avremmo dovuto attaccare i Tedeschi. Avremmo dovuto combattere contro quelle persone con le quali fino al giorno prima avevamo condiviso gioie e dolori!”. Il generale Antonio Gandin si trovò di fronte alla consueta alternativa: o arrendersi e cedere le armi ai tedeschi o affrontare la resistenza armata. L’11 settembre arrivò l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a cedere le armi. Gli italiani si rifiutarono ed infuriò una battaglia durata 10 giorni che costrinse gli italiani ad arrendersi. La città di Argostoli, capoluogo di Cefalonia, venne quasi totalmente distrutta. Era il 22 settembre 1943. Pasquale Acito, caporale maggiore, si salvò grazie all’intervento di un ufficiale tedesco, che aveva conosciuto durante la collaborazione italo-tedesca. “Dopo la battaglia e la resa, noi italiani fummo raggruppati in un cortile; si avvicinò l’ufficiale tedesco e mi disse: “Accillo (così pronunciava il mio cognome il comandante tedesco) vieni con me".
Insieme ad altri due commilitoni ci portò via per portare da mangiare ai muli. Dopo pochi minuti sentii le mitragliatirici tedesche che facevano fuoco sui soldati italiani prima raggruppati! Sono stato veramente fortunato e divenni prigioniero dei tedeschi, mandato al campo di pri-gionia di Argostoli." “Un giorno mentre ero in fila per ritirare la razione quotidiana di viveri (“la mezza pagnotta e il litro d’acqua”) il commilitone Bilancieri di Roccadaspide, anch’ egli prigioniero, mi chiamò ad alta voce escla-mando il mio cognome: “Acito, Acito”. A quel punto si avvicinò Biagio Paruolo che avendo sentito il mio cognome mi chiese da dove venissi. Quando gli dissi Altavilla, mi abbracciò forte piangendo”. Biagio Paruolo era giunto a Cefalonia il 15 maggio 1943 ed appartenva al 33° Reggimento Artiglieri della Divisione “Acqui”. Ricopriva il ruolo di tiratore e aiutante puntatore alla guida del capitano Amos Pampaloni che l’11 settembre 1943 diede ordine di aprire il fuoco contro due motozattere tedesche, che voleva-no sbarcare ad Argostoli, affondandole. La sorte di sparare il primo colpo, contro i tedeschi, toccò proprio all’altavillese Biagio Paruolo. Si accese una battaglia, Biagio fu ferito ad una gamba e ricoverato nell’ospedale di campo. Questa è stata la sua fortuna, in quanto Biagio venne poi trasferito nella caserma Mussolini di Argostoli, adibita a prigione. Cosi’ Biagio sfuggì alla rappresaglia tedesca iniziata dopo la resa degli italiani.
Pasquale Acito racconta così l’ulteriore tragedia: “Il 13 ottobre, alle ore 11.00, fummo imbarcati insieme ad altri 1200 italiani sulla nave mercantile Alba per essere trasportati al Pireo. La nave trasportava materiale edile e vi erano numerose tavole di legno. Poco dopo la partenza sentimmo un’esplosione e un forte boato e la nave incominciò ad affondare. Io e Biagio ci precipitammo a buttare in mare tutte le tavole di legno perché potevano essere utili in quanto galleggiavano. Era il momento di lasciare la nave e tuffarci nel mare, quella notte alquanto mosso. Con Biagio decidemmo di calarci in mare attraverso una fune, se ci fossimo tuffati avremmo potuto urtare una tavola di legno con tutte le conseguenze del caso. Purtroppo la fune era corta e rimanemmo sospesi con la paura di tuffarci nelle alte onde del mare. Dovevamo prendere una decisione perché la nave stava affondando, alla fine decidemmo di lasciarci andare tuffandoci nel mare grosso. Con il tuffo avevo perso di vista Biagio. Mi aggrappai, insieme ad altri commilitoni, ad una tavola e tutta la notte chiamavo “Paruolo, Paruolo, Paruolo” ma non ebbi risposta. Le ore passavano e vedevo i miei compagni lasciare la tavola e scomparire tra le onde. Io ed altri 7 commilitoni fummo salvati da un idrovolante tedesco che fece intervenire mezzi di soccorso; ci portarono all’ospedale del Pireo, buttato su una branda e poi sul letto numero 537; rimasi ricoverato per quattro mesi. Qui seppi che dei 1200 prigionieri solo 200 furono salvati dai barconi della Croce rossa, in quei giorni nessuno sapeva darmi notizie di Biagio Paruolo. Una volta guarito fui trasferito e destinato ai lavori forzati incominciando a peregrinare per campi di con-centramento fino a raggiungere quello vicino Lipsia. In questo stesso campo era stato destinato anche Biagio Paruolo, eravamo separati da una rete metallica, ma nessuno dei due lo sapeva. Fummo liberati in aprile del 1945 dagli americani e riportati in Italia. Ho incontrato Biagio solo quando sono arrivato ad Altavilla , mi aveva preceduto di qualche giorno. Era-vamo diventati ottimi amici, purtroppo il Signore l’ha chiamato a sé qualche anno fa.”
Nella foto (sulla sinistra) Pasquale Acito insieme al compaesano Francesco Cembalo in partenza per l'ar-ruolamento a Vibo Valentia. (Bruno Di Venuta www.divenuta.it)
L’Associazione Calabria in Armi intende esprimere il proprio cordoglio alla famiglia del sig. Antonio Canino, reduce della divisione Acqui, sopravvissuto alla terribile rappresaglia nazista di Cefalonia.
Il sig. Canino si era reso disponibile ad essere da noi intervistato nell’ottica degli obiettivi dell’associazione, finalizzati al recupero della memoria, anche attraverso la voce dei protagonisti di fatti e avvenimenti della storia nazionale più recente. Nel corso dell’intervista il reduce aveva raccontato gli aspetti più significativi della sua esperienza militare: dall’arruolamento a Cosenza, all’invio a Cefalonia nel 110° battaglione mitraglieri inquadrato nella divisione Acqui; ai tragici avvenimenti avvenuti dopo l’8 settembre 1943 ed alla terribile rappresaglia seguita alla reazione italiana di non cedere le armi all’ex alleato tedesco.
Rappresaglia evitata dal Canino perché gravemente ferito ad una gamba, a seguito di un violentissimo bombardamento sull’isola greca, ed al conseguente suo ricovero in ospedale con successiva prigionia in Polonia e Germania.
La dovizia dei particolari e l’eccellente memoria del sig. Canino hanno consentito di ricostruire, con notevole precisione, uno degli episodi più tragici ed eroici della guerra di liberazione. Il testo dell’intervista è riportato nel sito dell’associazione: www.calabriainarmi.altervista.org, nella sezione “archivio memoria”.
“Nato il 13 dicembre 1923, a diciannove anni, il 5 febbraio 1942, viene chiamato alle armi ed inviato dap-prima a Cosenza, successivamente a Caserta presso la caserma Aldifredda. Dopo qualche giorno viene imbarcato a Brindisi su una nave con destinazione ignota. Sbarca dapprincipio a Patrasso in Grecia e poi viene inviato all’isola di Cefalonia. Ad Argostoli, capoluogo dell’isola, viene assegnato alla Divisione Acqui e più precisamente al 110° Battaglione mitraglieri. Sono presenti nel reparto altri calabresi: Bevilacqua di Catanzaro Lido, Furfura di Nicastro, Vito Simonetta di Francavilla Angitola, Raffaele Serrao. Nell’isola vengono svolte attività di presidio, pattugliamento e rinforzo difese. Vengono anche utilizzati, in mancanza di veri pezzi d’artiglieria, tronchi di albero per simulare la presenza di numerosi cannoni antiaereo da 142 mm. Le condizioni di vita sono buone, il vitto però è scarso ed insufficiente. Solo la frut-ta è buona ed abbondante. La popolazione locale ha in generale un po’ di paura ma, tutto sommato, gli italiani sono ben visti. La stessa cosa non vale per i tedeschi. In realtà anche i rapporti tra eserciti alleati non sono ottimi: c’è qualche diffidenza reciproca.
La battaglia è furiosa nelle varie zone dell’isola ed avvengono numerosi bombardamenti aerei da parte dell’aviazione tedesca, contro gli italiani, finalizzati a fiaccarne lo spirito. Nel corso di un attacco di Stu-kas salta in aria un deposito carburante; ci sono tantissimi morti ed il signor Canino viene ferito grave-mente ad una gamba e catturato dai tedeschi, dopo aver assistito a scene raccapriccianti. Canino invece riceve le prime cure dai tedeschi, poi su una zattera viene inviato a Patrasso ed inizia un lungo e terribile viaggio di undici giorni in treno fino in Polonia. Viene dapprima ricoverato all’Ospedale di Varsavia, ove subisce un delicato intervento alla gamba. Il trattamento riservatogli è complessivamente umano e comprensivo. Il 20 aprile 1944 nell’ospedale cui è ricoverato conosce Hitler, in visita nella struttura il giorno del suo compleanno, in quale gli dà la mano apostrofandolo: “Italiano maccarone". In convalescenza, vista anche la sua giovanissima età, cerca di socializzare con la popolazione del posto contravvenendo però ai perentori ordini al riguardo. Un sottotenente tedesco lo scopre e lo fa condannare a dieci giorni di cella di rigore a pane ed acqua. Tempo dopo, e sempre sofferente alla gamba, viene trasferito in altre località e poi a Dachau, ove inizia a lavorare presso un giornale locale alle dipendenze del signor Zimmer. Viene trattato bene ma non ha alcuna notizia dall’Italia ove oramai lo credono morto.
A fine guerra viene rimpatriato presso un campo di smistamento a Verona e poi inviato dapprima all’Ospedale militare di Baggio ed infine a quello di Viggiù.,Una sera si reca presso la casa del soldato e lì finalmente riesce ad informare la famiglia del fatto che è vivo. Dopo 4 mesi, nel 1946, ritorna in Calabria e può così iniziare una nuova vita. L’odissea della guerra e della prigionia è finita, oggi rimane però il vivido e perenne ricordo, a quasi 65 anni dal loro accadimento, dei tragici fatti vissuti e dei numerosi commilitoni che non sono più tornati a casa sacrificando così la propria giovinezza". (da calabriainarmi.it)
L'ultimo legnaghese reduce di guerra se ne è andato in silenzio,com'era sua consuetudine. Danilo Miglorini, ex-agricoltore ed ex-combattente nelle fila della Divisione Acqui, è morto sabato scorso nella sua abitazione dopo una vita giocata fra gli orrori della guerra ed una prepotente voglia di normalità.
E una storia fatta di riscatti quella di Migliorini, il cui funerale è stato celebrato nella chiesa di Vangadizza, la frazione nella quale lui, nativo di Canove, ha vissuto dopo la drammatica esperienza del conflitto bellico.
Partito militare nel gennaio del 1942 ed assegnato ad un reggimento di Fanteria, il 317°, nel maggio successivo è stato destinato al presidio di Cefalonia, l’isola greca che, assieme a Corfù, è diventata poi il tragico esempio di quello a cui può portare il mutare delle alleanze politico-militari.
Proprio lì, infatti, buona patte dei soldati della Divisione Acqui è stata sterminata dai tedeschi poco dopo 1'8 settembre 1943, data in cui l'Italia ha firmato l'armistizio con gli alleati.
Arresosi ai tedeschi dopo una fuga da un ospedale in cui era ricoverato a causa della malaria, Migliorini è stato caricato su una nave destinata ad un campo di concentramento • che però è finita a picco a causa di una mina messa dagli italiani. Salvato dagli stessi tedeschi, è stato quindi imbarcato su un'altra nave che lo ha portato ad Atene. Qui è stato adibito al lavoro coatto, per alcuni mesi alle «dipendenze di Hitler» prima di finire in Jugoslavia.
Ritornò a casa solo nel novembre 1946. In quella casa dove ha poi riannodato le fila di un'esistenza segnata da un'esperienza terribile, che non gli ha impedito però di arrivare alla bella età di 94 anni. ( LU.FI l’Arena di Verona 8/7/14)
Reduce, combattente in Piemonte Col di Tenda, Albania, Corfù e Cefalonia. Nato a Viadanica (BG) e trasferito con la famiglia a soli tre anni ad Osio Sopra (BG) dove ha poi vissuto tutta la vita.
Nel lontano 1938 partì militare a Modena, poi a Cremona dove conseguì la patente e imparò il mestiere di meccanico. Fu poi trasferito a Cuneo ma subito scoppiò la guerra e fu chiamato alle armi nella guerra di “Alemania”contro la Francia sul Colle di Tenda. Trascorse poi l’estate del 1940 a Grumello del Monte e alla fine dell’anno fu imbarcato per l’Albania con altri compaesani. Partecipò alla guerra contro la Grecia sul Monte Tomori dove il Duce aveva un osservatorio.
Era artigliere nel settimo gruppo terza batteria, cannoni 105/28. Il suo ruolo era capo garage. Guidava e riparava ogni tipo di automezzo. Ha combattuto come caporale maggiore nella Divisione Acqui nell’isola di Cefalonia, a Corfù, a Zante Itaca ed in Grecia. Nel 1941 fu imbarcato per Cefalonia dove fece da autista ad un Generale. All’artigliere Gianmaria Pelicioli venne concesso un encomio solenne per la difesa dell’isola (Divisione fanteria di montagna Acqui).
Dopo alcuni giorni di impari lotta e ridotto allo stremo, veniva trasferito in Grecia 9-24 Settembre 1943. Dopo l’8 Settembre furono trucidati tantissimi soldati italiani,mitragliati, bruciati corparsi di benzina e poi buttati in pozzi e dirupi. Ad Argostoli, vide tre navi di italiani, che pensavano di tornare in patria, imbattersi nelle mine ed affondare. Gianmaria si salvò perché doveva fare servizio in ospedale e non accettò di partire. Ricordai 9000 morti tutti fucilati dai tedeschi.
Una mattina fu catturato dai tedeschi e portato a Lakitra per essere fucilato ma grazie a Dio poi fu portato alla caserma Mussolini. La mattina dopo gli ufficiali italiani furono portati alla Casetta Rossa e fucilati. Rimase un anno sull’isola e vide cose atroci. Ricorda l’assistenza del cappellano Ghilardini a tutti coloro che dovevano essere fucilati. Alla fine del 1943 portò il capitano tedesco da Argostoli a Sami per imbarcarsi, lì,approfitto di un attimo di assenza del capitano e scappò sulla montagna dove si trovava la Batteria Mazzoleni, anche loro sfuggiti alle atrocità tedesche. Gianmaria riuscì a lasciare Cefalonia imbarcandosi come infermiere con un medico che accompagnava la Compagnia Mazzoleni in Grecia (inizio 1944). Lì fu portato a Patrasso e imbarcato per l’Italia con una nave inglese. Arrivato in Italia fu spogliato, disinfettato e incaricato di guidare un ambulanza fino al Po. Maggio 1945, finalmente la guerra finì e lui tornò a casa. Per paura di trovare spiacevoli sorprese si fermò da un fratello che lo fece lavare e sbarbare e poi lo accompagnarono a casa. In paese tutti increduli, la mamma soprattutto perché lo credevano morto.
Non dimenticò mai i pianti di gioia dei suoi compaesani quando lo videro arrivare.Nella sua vita ogni notte nei sogni rifaceva il percorso di quegli anni atroci e raccontava a tutti l’esperienza vissuta. Gianmaria, L’Uomo che ha saputo solo amare, L’Uomo che non ha mai saputo odiare Un uomo speciale Così lo ricordano i suoi cari e tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo.
La figlia Cecilia Pelicioli
Se ne è andato in questa tarda primavera il decano della sezione ANDA di Cremona, Luigi Soldi, 99 anni, reduce della Divisione Acqui.
Originario del paese di Cella Dati, dove era nato nel 1915 e dove ha sempre vissuto, è stato per decenni figura notissima di mediatore di bestiame e di immobili, di quelli di una volta, per i quali bastava una stretta o una pacca di mano per sancire in modo definitivo qualsiasi transazione.
Era persona amabile e allegra, capace di contagiare della sua esuberanza e gioia di vivere chiunque incontrasse e in qualsiasi occasione. “Aveva 99 anni, ma è stato vecchio solo pochi giorni, quando ha cominciato a dire che voleva ricongiungersi con la sua Cesira.” ricorda il figlio Paolo, consigliere di ANDA Cremona.
Luigi Soldi, nella provincia cremonese, e non solo, noto a tutti semplicemente come Bigìin, era stato militare della Divisione Acqui sia sul fronte francese, che su quello albanese, dove fu catturato e trasferito come prigioniero a Creta. Rimpatriato dopo la resa greca, venne inviato come supporto in Jugoslavia, in attesa di ritornare alla sua Divisione. L’8 settembre fu catturato a Lubiana in Slovenia e internato in Germania nello Stalag IIIB di Furstemberg. Liberato solo nel maggio 1945, tornò a casa a fine anno dopo aver peregrinato per mesi per le strade d’Europa.
Decorato di Croce di guerra e di Medaglia d’onore, pur avendo evitato i giorni della strage a Cefalonia e Corfù, era orgogliosissimo di essere stato uno dei militari della “gloriosa Divisione Acqui”e sempre presenziava con la sua vivacità alla cerimonia di Verona e a quelle in sede locale.
L’otto giugno, a Rovereto, è mancato Albino Boninsegna, classe 1922, già appartenente al 33° reggimento artiglieria di stanza a Santo Stefano (Corfù).
All’indomani dell’armistizio resistette all’esercito tedesco, assieme a tutta la sua batteria, fino al 27 settembre 1943 quando venne fatto prigioniero. Scampato miracolosamente alla ferocia dei tedeschi, il 10 ottobre, rischiò la vita nell’immane tragedia della motonave “Mario Roselli” sulla quale era stato imbarcato per la deportazione. Salvatosi da morte certa gettandosi in mare venne successivamente portato a terra da un mezzo di salvataggio.
Dopo infinite peripezie, che lo videro anche ferito ad una gamba, giunse nei terribili campi tedeschi dove venne più volte trasferito prima della liberazione da parte dell’esercito americano.
Il 9 giugno 1945 rientrò in Italia e iniziò una fase felice della sua vita, che lo vide costruire una bella famiglia assieme all’amata moglie Rina e ai figli e diventare un apprezzato direttore di negozi SAIT, senza mai dimenticare, però, la tragedia vissuta e i compagni con cui la condivise.
Antifascista e militare in grigioverde. Sopravvissuto miracolosamente all’eccidio di Cefalonia. Il resto della vita trascorso a testimoniare la sua storia e l’orrore della guerra. Giorgio Lo Iacono è morto il 18 maggio, a 92 anni, nella sua abitazione a Palermo. Lo Iacono (il secondo a sinistra) durante un convegno organizzato dall’Anpi
Lo Iacono aveva partecipato spesso a raduni di reduci della divisione Acqui annientata dai nazisti. Portava sempre con sé il suo libro di memorie e ovunque andasse a parlare il successo era assicurato.
Ma tutto questo e la stessa la drammaticità dei fatti narrati forse non bastano a spiegare la ragione per cui i discorsi di Lo Iacono riescono sempre a mantenere desti l’interesse e la tensione emotiva dell’uditorio». Tutto questo Lo Iacono lo aveva dentro. E sapeva come trasmetterlo».
Ed ecco un ricordo di Cefalonia, a tracciarlo è proprio Lo Iacono. «Quando l’isola cominciò ad esser bombardata non fu risparmiato il promontorio che sormonta Argostoli, Cima Telegraphos, dove stavo prestando servizio io, in compagnia di altri cinque commilitoni, incaricati di fornire le coordinate di tiro alle nostre artiglierie. A ondate successive, gli Stukas sganciarono centinaia di bombe, picchiando con la sirena che ululava. Risalendo continuavano a mitragliare. Tra un attacco e l’altro trovavano il tempo per rifornirsi di bombe a Patrasso. Ma quelle brevi pause diedero agio ai miei compagni di cercare scampo altrove. Rimasi solo per un’intera giornata, accovacciato tra due sassi, la bocca secca per la sete e la paura, la polvere che mi penetrava nei polmoni. E quei maledetti uccellacci teutonici continuavano a ronzare e bombardare il promontorio». «Verso il tramonto cercai di vincere la paura per guardare la morte in faccia, ossia la bomba che avrebbe posto fine al mio tormento. Notai un piccolo spezzone incendiario – è il racconto che prosegue – che sembrava stesse per raggiungermi. Aveva le sembianze della statua equestre di san Giorgio, protettore di Piana, il volto rassicurante.
La bomba esplose a poca distanza da me. Mi alzai e corsi in cerca dei commilitoni. Ne trovai uno solo. Aveva quattro anni di guerra sul groppone e una paura incredibile. Cercammo di rientrare al reparto e per miracolo non fummo uccisi da altri soldati italiani che, avendo intravisto due ombre (le nostre) corsero all’assalto di Cima Telegraphos sparando e urlando: “Avanti Savoia!”. E noi di rimando: “Cessate il fuoco, non siamo tedeschi”». Giorgio scampò poi all’eccidio rifugiandosi tra la popolazione greca. (da Corriere.it 02 giugno 2014)
Abbiamo perduto Battista Alborghetti, classe 1923 nativo di Ambivere in provincia di Bergamo., uno dei pochi superstiti del sanguinoso eccidio nazista nelle isole greche di Cefalonia e Corfù. É spirato il 7 giugno assistito dalla moglie Gina e dai figli con le loro rispettive famiglie.
A soli 19 anni Battista fu arruolato e mandato a combattere a Cefalonia con la Divisione Acqui nel 33° reggimento Artiglieria. Dopo l'8 settenbre e la conseguente resa italiana, Battista, ferito, venne rinchiuso nelle carceri di Argostoli e comunque rimase priginiero a Cefalonia.
Come artificiere partecipò al sabotaggio del posizionamento mine sull'isola da parte della Wehrmacth, operazione che evitò la distruzione completa del porto di Argostoli prima dell'abbandono di Cefalonia da parte dei Tedeschi.
Rino Dovesi nasce a Dozza Imolese (BO) il 10 maggio 1923. La sua partenza per il servizio militare avviene il 7 gennaio 1943 con prima destinazione la città di Cosenza, viene poi trasferito a Caserta dove rimane fino a metà maggio ‘43, per essere trasferito definitivamente al 18° reggimento fanteria Divisione Acqui.
Sbarca nell’isola di Corfù il 7 giugno successivo. In quell’isola viene aggregato a un reparto della Guardia di Finanza. Il lorodistaccamento, composto da cinque soldati e cinque finanzieri, si trova isolato sulla costa con il compito di vigilare e prevenire il contrabbando.
Essendo isolato dal resto delle forze militari, non vive la battaglia di Corfù ma, viene comunque catturato dai tedeschi il 22 settembre 1943. Prigioniero, viene inviato in un campo di concentramento in Grecia, nei pressi di Gianina. Ha la fortuna di passare una prigionia non troppo sofferta anche se costretto al lavoro coatto, riuscendo persino ad allacciare una forte amicizia con una famiglia greca.
Nell’estate del ‘44, quando i Tedeschi abbandonano la Grecia, riesce a raggiungere la città di Prevesa nella quale si imbarca per il rientro in Italia datato 11 novembre 1944. Viene subito aggregato al 12° reparto salmerie. In questo reparto partecipa, in appoggio alla 210ª divisione di fanteria italiana, alle dipendenze della 5ª Armata americana, alla liberazione di una zona, nei pressi del suo paese, sulle colline imolesi. Questa partecipazione lo gratifica di diversi encomi. Rientra a casa nel mese di maggi1946 dopo essere stato congedato dall’esercito italiano.
Nella foto lo vediamo sorridente alla fine della sua prigionia, fare un pic nic con compagni e civili greci.
Il giorno di Pasqua, un giorno prima del suo 94° compleanno ci ha lasciati l'artigliere Elio Buricchi. Elio viveva a Castelnuovo di Garfagnana in provincia di Lucca. Apparteneva al VII Gruppo Artiglieria di Corpo d'Armata cannoni da 105/28 ed era stanziato a Cefalonia.
Scampato sull'isola dal massacro tedesco e fatto prigioniero, scampa anche dall'affondamento del piroscafo Marguerite, sul quale era stato imbarcato, che il 13 ottobre aveva lasciato il porto di Argostoli ed era affondato forse per l'urto di una mina o forse da un sommergibile inglese.
Lo vediamo, giovane artigliere nella foto, seduto a terra mentre guarda il cane sulle alture soprastanti la città di Argostoli, della quale se ne intravede uno spicchio alla destra dei soldati. Alle loro spalle la Baia di Argostoli con sullo sfondo (alla sinistra dei soldati) la cittadina di Pharsa che fu teatro di feroci scontri Italo Tedeschi.
Mio padre non è stato un eroe. Mio padre, Giovanni Cattaneo, nato il 29 agosto 1920 a Terno d’Isola in provincia di Bergamo, è mancato il 20 febbraio 2014 e per ricordarlo vorrei esprimere parole non di circostanza. Apparteneva alla 33ª Btr. artiglieria contraerea da 20 mm di stanza a Corfù.
Come molti dei superstiti ha cominciato a raccontare della guerra molti anni dopo, solo quando noi figli, già adulti, gli chiedevamo di raccontarci la sua esperienza.
A me, nata diversi anni dopo la guerra, che ritenevo l’eroismo in guerra un nobile ideale e supremo valore, rispondeva “Ma quali eroi! Ma se siamo stati bombardati anche dagli inglesi che erano diventati nostri alleati! Tutto quello che ho visto non aveva senso, e ho capito, come tutti gli altri, che quello che dovevo fare era cercare di salvare la vita. Ci sono riuscito, ma ancora adesso non so come sia potuto succedere”.
In diverse occasioni, ricordando le migliaia di suoi commilitoni e gli ufficiali assassinati a Cefalonia, parlava con sofferenza della carneficina, esprimendo le sue perplessità per la scelta fatta da alcuni ufficiali di attaccare i tedeschi, elogiava il comportamento prudente di Gandin che conosceva i tedeschi, sapeva bene che aggredendoli avrebbero reagito male. Secondo mio padre sarebbe stato necessario prima di tutto pensare a salvare la vita a tutti quei ragazzi. Diceva “La vita è importante” e sottolineava spesso la differenza tra i soldati tedeschi, che definiva come degli automi senza sensibilità e indifferenti di fronte al dolore, e i soldati italiani, giovani ragazzi tendenzialmente poco portati alla guerra e che non vedevano l’ora di tornare al loro lavoro e alle loro occupazioni: artigiani, contadini, operai, qualche impiegato.
Nel suo diario dice….. Tra commilitoni ci si scambiava idee e si discuteva anche di politica. Dopo il 1942 abbiamo cominciato ad esprimere sfiducia per il fatto che la guerra cominciava ad andar male su tutti i fronti, la maggior parte di noi pensava che il duce avesse sbagliato alleandosi con Hitler…. Racconta ancora, ricordando quei giorni terribili…. Il 25 settembre, era di pomeriggio intorno alle 15/16 non ricordo l’ora esatta, dopo 10 minuti che le sirene avevano dato l’allarme si cominciò a sentire il rombo degli aerei che si avvicinavano. Scattato l’allarme, il nostro compito era di correre al pezzo e prepararci alla difesa. Gli stukas erano diretti proprio verso la contraerea, cioè verso di noi. Il rumore degli aerei si sentiva bene ma non era possibile individuarli subito, la cosa diventava possibile solo quanto iniziavano la “picchiata” e se ne cominciava a sentire il tipico ronzio. Erano 4, diretti proprio verso le nostre batterie. II primo di loro, suppongo il caposquadriglia, inizia la picchiata e sgancia le bombe che finiscono sulle mura e sulle rocce a circa 80/100 mt da noi. L’esito fu simile a quello di un terremoto, fummo avvolti da una nuvola di polvere e sassi, non riuscendo a vendere più nulla. Io continuai a sparare finché i proiettili finirono, solo in quel momento mi accorsi di essere rimasto solo, i miei compagni, quelli che prima si trovavano vicino al pezzo, impauriti e temendo di venire uccisi erano fuggiti per nascondersi senza farsi notare dal capitano. A quel punto, impaurito, mi alzai e corsi verso il rifugio. Mi trovai davanti però il capitano Bonali che grida ”Cattaneo dove vai?”. Ricordo che aveva la pistola in pugno puntata verso di me, io risposi “Signor capitano al pezzo sono rimasto solo, non c’è più nessuno”, mi disse “Torna al pezzo, vengo io a servirti le munizioni”. Infatti andò che io continuai a sparare mentre lui mi caricava le munizioni. Quando cessò l’allarme, io e il capitano ci guardammo e dissi, molto scosso “Signor capitano perché stiamo qui a farci massacrare in terra straniera?”, mi rispose con due parole “Questi sono gli ordini”.
Abbraccio mio padre, anche se non è stato un eroe ma solo un padre e lavoratore.
Ivana Cattaneo
Arcisate, 14 febbraio 2014
Sono la figlia dell'artigliere alpino Palmino Anselmi, uno dei pochi sopravvissuti all' eccidio di Cefalonia. Purtroppo mio papà Palmino lo scorso 23 gennaio improvvisamente ci ha lasciati. Nonostante l'età (avrebbè compiuto 93 anni il prossimo 20 marzo) era una pedina ancora molto importante per la mamma, ma anche per noi figli e per i nipoti, sempre disponibile e attivo come un baldo giovane.
Guidava ancora l'auto ed era ifaticabilepur se qualche acciacco si faceva sentire, ma lui non era il tipo da piangersi addosso, era un'ottimista nato e vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno anche nelle prave più difficili che la vita gli aveva riservato. Era patriota fino al midollo, portava la sua testimonianza di sopravvissuto all'eccidio di Cefalonia nelle scuole: era molto gettonato e questo lo riempiva d'orgoglio.
Compariva sui quotidiani locoli quando faceva i suoi interventi o quando riceveva degli attestati di benemerenza. A testimonianza di ciò invio gli articoli del quotidiano locale redatti in occasione della sua scomparsa. Era diventato un personaggio, chiacchierava con tutti, aveva sempre un argomento su cui far breccia, nella nostra zona lo conoscevano in molti e in molti lo hanno accompagnato nell'ultimo viaggio.
Sempre presente a Verana a settembre in occasione della commemorazione della Divisione Acqui, partecipava con assiduità a tante manifestazioni commemorative, nonché ai funerali di alpini ed ex combattenti e al termine della cerimonia recitava a memoria, con enfasi, la preghiera dell'alpino che in occasione del suo funerale è andata in onda registrata con la sua voce: un'emozione indescrivibile!
Questo era il mio papà e molto altro ancora …
Allego anche alcuni cenni biografici che avevo preparato un paio d'anni fa in occasione di una cerimonia durante la quale gli fu conferito un riconoscimento e l'immaginetta ricordo che abbiamo distribuito il giorno del suo funerale con stampata sul retro la sua cara preghiera dell'alpino.
Grazie
Un caro saluto Renza Anselmi
Dopo Merano, in località Branzi nel bergamasco, svolge il campo. Viene inviato sul fronte francese, Col della Maddalena. Dopo il fronte francese, spedito in Albania (documentato da foto di gruppo sul posto). In Albania è ferito da schegge di mortaio alla schiena, nei primi mesi del 1941. Guarito, è mandato a Corfù nel 1941.
Dopo l’otto settembre ‘43, durante i rastrellamenti è salvato da civili greci e vi resta fino a Natale. In seguito è catturato dai tedeschi e imbarcato destinazione Albania – Porto Edda – dove incontra l’amico De Paoli di Mattarello di Trento. E’ caricato su un convoglio merci e grazie a un mitragliamento aereo, scappa e riesce a sfuggire dai tedeschi. Si ritrova in Serbia, dove è nascosto da una famiglia. Soltanto nel 1946 è tornato in Italia, sfuggendo anche ai partigiani di Tito.
La famiglia è stata ritrovata nei primi anni 2000, grazie a dei serbi, arrivati a Pieve di Bono in Trentino, dopo la recente guerra dei Balcani. A questa famiglia, noi figli, se anche non la conosciamo, le dobbiamo per sempre essere grati e riconoscenti, per avere salvato il nostro papà. Con loro ha lavorato la campagna. Ha ricevuto nel 1967 la Croce al Merito di Guerra.
Fra i suoi compagni di allora c’erano: Piccoli di Mattarello, suo cognato; De Paoli di Mattarello; Tonini, deceduto a Pasqua sul fronte di Bratai in Albania nel 1941; Betta Dino di Varignano di Arco; Corradi di Bezzecca; Boccagni Mario;Bisoffi e Piccoli Andrea di Mori. (vicende di guerra, inviate dal figlio Guido)
Santa Margherita Ligure: abbiamo ricevuto una telefonata da parte di una signora, di Genova, Antonella Ponte, che ci ha comunicato l'appena avvenuta scomparsa del proprio zio, Vinicio Diomedi, novantenne, nato a Genova nel mese di luglio del 1923 reduce di Cefalonia; la signora, che io non conosco personalmente e che ho sentito per la prima volta, mi ha saputo dire che il congiunto era, al tempo, arruolato in Marina e che fu catturato dai tedeschi e portato in Germania, dove subì alcuni anni di prigionia.
Maria Grazia Barbagelata
È scomparso all'età di 90 anni Giovanni Tosi, uno degli ultimi reduci di Satizzole, ex deportato pluridecorato e insignito dell'onorificenza di cavaliere al merito della Repubblica italiana.
Se n’è andato in silenzio, alla ricerca della pace che su questa terra non ha mai trovato perché la guerra lo aveva ucciso dentro. Una vita la sua, segnata indelebilmente dai fatti tragici di Cefalonia e Corfù del settembre 1943, di cui per anni non ha mai voluto parlare. Era infatti scampato non una ma bensì due volte alla morte incontrata nei campi di concentramento dove era riuscito a sopravvivere scavando le fosse dove venivano seppelliti i detenuti che ogni giorno morivano.
Un trauma che aveva faticato a rielaborare e che aveva reso noto a parenti ed amici solo in età avanzata perché avea il desiderio di ritrovare il tenente Rossidori.
La sua storia inizia nel settembre1 943 era la matricola 273950. All'epoca Tosi era arruolato nel 46" reggimento di artiglieria motorizzata.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre fu catturato e condotto in un campo di concentramento greco. La nave su cui Giovanni Tosi viaggiava fu bombardata dagli anglo americani e si salvò aggrappandosi ai corpi dei soldati annegati. In seguito raggiunse il campo dove sopravvisse scavando fosse per i morti.
Ammalatosi di pleurite venne deportato in Germania, nel campo di concentramento di Zeithain, dove rimase fino al 23 aprile del1945 quando arrivarono i russi, che poi lo reclutarono per cinque mesi. Tanto che rischiò di essere deportato in Siberia come traditore fascista. Un contrordine annullò il trasferimento e ritornò a Salizzole.
Il Signore di questa foto con il suo simpatico e dolce sorriso si chiama Arduino Giberti e ci ha lasciati, così all'improvviso cogliendo tutti di sorpresa alla vigilia del suo novantunesimo compleanno. Faceva parte del 17° reggimento fanteria della Divisione Acqui di Stanza a Cefalonia. Era nato a Serramazzoni (Mo) il 21 gennaio 1923.
A cefalonia venne preso prigioniero dai tedeschi e condotto alla caserma Mussolini. Fu imbarcato sulla nave Ardena ma riuscì a salvarsi dal naufragio della stessa e , ripreso, passando per salonicco fu mandato nei campi di internamento in Jugoslavia. Riuscì a rientratre in Patria nel settembre 1945, a Capodistria con i partigiani di Tito. Lo ricordiamo come persona gentilissima e disponibile che ha dedicato la sua vita al ricordo della Acqui.
Ha sempre partecipato alle commemorazioni dell'Eccidio della Acqui provinciali e nazionali e lo ricordiamo orgoglioso, accompagnato dall'inseparabile nipote, con la moglie e la figlia al Quirinale, invitato dal presidente della Repubblica, On. Giorgio Napolitano, il 4 novembre u.s. in occasione della festa delle Forze Armate.
Quando si conoscono queste persone da molto tempo, sembrano diventare immortali, così pieni della loro gentilezza e sempre pronti a donarti un sorriso, ma poi si è costretti a prendere atto della realtà, come svegliandosi all'improvviso nel mezzo di un bel sogno. Ciao Arduino ci mancherai. (OP)
E' giunta inaspettata stamattina presto la triste notizia della scomparsa del reduce del 17° reggimento fanteria Enrico Girolamo Savani. E' sempre spiacevole ricevere le notizie sui nostri reduci che ci lasciano, ma questa per me è stata ancor peggio delle altre in quanto, con Enrico, avevavamo un rapporto particolare: è stato il primo reduce che ho conosciuto e soprattutto l'unico, ancora presente, che aveva vissuto tutta la prigionia, a Cefalonia insieme a mio padre col quale erano molto amici.
Avrebbe potuto raccontarmi molte cose ma purtroppo quando l'ho conosciuto era stato operato alle corde vocali e non poteva parlare, ma comunque riuscì a trasmettermi molte notizie che mi aiutarono molto nel primo viaggio a Cefalonia.
Lui soprattutto mi stimolò a continuare nella ricerca, lo convinsi anche a scrivere un diario che mi trasmetteva, pagina dopo pagina, via fax. Abitava a Remedello in provincia di Brescia e purtroppo non potevo vederlo molto, ma era sempre bello, quando riuscivo ad andarci, vedere i suoi occhi inumiditi dalla commozione e dall'affetto.
La foto ci ritrae (insieme alla moglie Vittoria) dopo la consegna della Medaglia d'Argento della FVIL ( Federazione Italiana Volontari della Libertà) nella sala del Consiglio del Comune di Remedello in una cerimonia ufficializzata dalla presenza del sindaco di alcuni consiglieri e dei suoi amici del paese. Fu una cerimonia bella e commovente e ringrazio ancora e di cuore il sindaco, Avv. Ceruti Francesca per aver organizzato il tutto in quella domenica d'autunno. La pubblicazione on line del suo diario sarà lo strumento perchè venga ricordato anche da chi lo vorrà leggere.
Ciao Enrico ti ricorderò sempre con grande affetto e lunedì prossimo verrò a Remedello a portarti l'ultimo saluto e onorarti con la bandiera della Acqui.
Orazio Pavignani
Milano 18 Dicembre 2013 – Nella notte è scomparso il Caporal Maggiore Marco Pazzini, apparteneva al 33° Compagnia Genio TRT a Cefalonia. La tragedia della Acqui era sempre presente nei suoi ricordi vivi ed emozionanti, in particolare ricordava quando aveva ricevuto a Radio Tavola il dispaccio dell'armistizio dell'8 Settembre 1943 e subito l'aveva comunicato al Generale Gandin e piangendo i particolari di come era riuscito a salvarsi dall'Eccidio al Castro.
E' stato per lunghi anni Presidente ANDA sezione di Milano e dell'Associazione Combattenti e Reduci. Grazie Marco perchè in questi anni hai saputo trasmetterci con le tue parole la forza per non dimenticare e soprattutto il ricordo di quanto accaduto deve essere trasmesso ai giovani come proseguimento della Memoria.
Ilario e Wally Nadal
Non sappiamo quando, ma siamo certi della notizia: è' deceduto a Fidenza il reduce Rino Gravati. Non abbiamo molte notizie su di lui perciò per ricordarlo pubblichiamo questo il sunto di una intervista rilasciata da “Rino" agli studenti dell'Istituto a: Bernini.
Classe 1921, non aveva ancora vent'anni quando nel gennaio del 1941 si trovò in una caserma di Silandro (Bz), assegnato al 17° Fanteria della Divisione Acqui.
Nel settembre dello stesso anno fu mandato in Grecia, a Cefalonia, dove il suo reggimento era arrivato per presidiare l'isola insieme ai tedeschi. Nell'isola la vita militare non era insopportabile, con la popolazione locale c'era cordialità, i greci volevano bene a noi soldati italiani.
Ma con l'8 settembre a Cefalonia comincia la tragedia.
" Da alleati siamo diventati di colpo nemici dei tedeschi. Il generale Gandin rifiuta di cedere le armi e il 15 di settembre comincia la vera guerra. Furono sette giorni terribili: la mia compagnia, composta di circa 200 uomini fu annientata. Ho visto cadere falciato da una raffica di mitraglia il capitano Giorgio Balbi di Parma, che si trovava proprio dietro di me; della mia squadra su sette uomini siamo sopravvissuti in due. Non riuscivo a pensare a niente, tanto prima o poi tutto sarebbe finito! Fortuna volle che fui tra i pochi a salvarmi da quell'inferno".
Fu fatto prigioniero e internato in un campo di concentramento in Serbia e condannato ai lavori forzati lungo una via ferroviaria. Fu poi trasferito vicino a Vienna, dove fece il barbiere del campo, poi scappò e, dopo alcune peripezie, fu catturato ; nel 1945 fuggì di nuovo e prendendo la strada per Innsbruck, salì su un camion per l'Italia e poi a Fidenza. " Certe esperienze cambiano dentro e, in mezzo a tanto odio, ho imparato a non odiare".
Quando varcava la soglia della sede del gruppo di appassionati verdiani del quale era socio decano
diventava «Simon Boccanegra», ossia impersonava la nota opera verdiana come vuole la rigida regola di chi entra a fare parte dello storico «Club dei 27» presieduto da Enzo Petrolini, Mario Gherardi è deceduto nei giorni scorsi all'età di 92 anni, Parmigiano del sasso, entrò a fare parte del club nel 1974 assumendo il titolo di «Corsaro», Nel 1991, «Mario – ricorda commosso il presidente del Club dei 27, Enzo Petrolini è sempre stato appassionato di tutta la musica che seguiva regolarmente, oltre che al Regio con la stagione lirica, anche attraverso i concerti dell'Orchestra Toscanini.
Grande invalido di guerra, Cavaliere al merito della Repubblica, insignito nel 1997, era attualmente presidente della sezione di Parma dell'Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra. Sottotenente di complemento, durante la guerra, fu destinato in Grecia in forza alla mitica e gloriosa «Divisione Acqui», E, da quel momento, iniziò l'odissea di Gherardi assegnato al comando del plotone del 18° Reggimento della «Acqui».
Visse in prima persona l'immane tragedia, di cui furono vittime tantissimi nostri soldati, culminata con l'eccidio di Cefalonia. Deportato nei lager nazisti condivise fame, fatiche, umiliazioni ed «amarcord» con Giovannino Guareschi del quale serbò, fino all'ultimo, un fraterno ricordo, Ritornato in patria seriamente provato nel fisico, fu assunto alla Banca Commerciale Italiana ed, in seguito,alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, per poi iniziare la professione di Consulente del Lavoro.
Persona raffinata, gentile, di profonda cultura e grande rettitudine, oltre ai tanti amici e «confratelli» verdiani del «Club dei 27»,lascia la moglie Luisa ed il nipote Luigi i quali lo hanno assistito amorevolmente fino all'ultimo.
da La Gazzetta di Parma – Lorenzo Sartorio
E' morto Toni Capra superstite di Cefalonia.
Tra nove giorni avrebbe compiuto 93 anni, ma l'odissea dell'ex portaordini della Compagnia è rimasta pressoché sconosciuta per settant'anni, finché non è uscita la sua biografia per Araba Fenice. Antonio Capra, detto Toni, era uno degli ultimi superstiti della Divisione Acqui, massacrata dai tedeschi nel settembre del 1943, dopo l’armistizio, sull’isola greca di Cefalonia.
Nato nel 1920, l’ex portaordini della Compagnia comando del terzo battaglione del diciassettesimo reggimento di fanteria è morto mercoledì scorso a San Francesco al Campo. Tra nove giorni avrebbe compiuto 93 anni.
La storia di Capra e la tragedia dei soldati italiani è stata raccontata da lui stesso a Franco Brunetti, autore del recente libro-intervista “Sopravvivere a Cefalonia. La dignità di resistere del portaordini della Acqui". La sua odissea è rimasta pressoché sconosciuta per settant’anni.
Scampato al massacro e fuggito dalla prigionia tedesca, Capra si era unito ai partigiani greci, collaborando con la Resistenza antinazista. Sopravvisse e riuscì a ritornare a San Francesco al Campo, nel maggio del 1945, anche grazie a una famiglia di poveri contadini ellenici, che lo accolse e lo aiutò. Nel gennaio di quest’anno, il sopravvissuto di Cefalonia aveva ricevuto la medaglia d’onore che la legge riconosce ai deportati e agli internati militari. I funerali di Capra si svolgono oggi, alle 14.15, a San Francesco al Campo (da Repubblica- Torino del 22/11/13 MassimNovelli)
//torino.repubblica.it/cronaca/2013/11/22/news/e_morto_toni_capra_superstite_di_cefalonia-71610683/
Buongiorno, volevo tristemente comunicarvi che il 4 gennaio 2013 èscomparso mio nonno. Era un reduce di Cefalonia della Divisione Acqui, Pettenati Salvatore 317° Fanteria.
Ho visto i vostri elenchi ed il Vostro impegno a mantenere vivo il ricordo di questa triste pagina della nostra storia, e volevo in qualche modo dare il mio contributo affinchè possiate tenerlo aggiornato.
Luca Pettenati
CORDOGLIO PER LA SCOMPARSA DEL REDUCE DELLA DIVISIONE ACQUI
Pettenati, una Vita segnata da CefaIonia
Passano gli anni e lentamente se ne vanno quelle persone che potrebbero essere tranquillamente definite pagine di storia del nostro Paese. All'età di 91 anni si è infatti spento a Noceto Salvatore Pettenati. Conosciuto da tutti come Silvio – lui gradiva essere chiamato cosi – Pettenati è stato uno dei superstiti dell'eccidio, perpetrato dalle forze militari tedesche contro quelle italiane, di Cefalonia e Corfù. In paese era particolarmente conosciuto perché membro dell'Associazione nazionale famiglie dei caduti e supersiti della divisione Acqui: con questo sodalizio partecipava sempre alle varie commemorazioni dei Caduti. Inoltre si recava spesso al Circolo Anziani locale per passare alcune ore in compagnia di amici e coetanei.
Nato a Solignano nell'ottobre del 1922, faceva parte di una famiglia composta da ben 7 fratelli. Il padre viaggiava tra Italia e Stati Uniti per lavorare e mantenere il nucleo famigliare. Salvatore iniziò a lavorare come contadino assieme ai famigliari fino a quando non ricevette la chiamata alle armi. Arruolato nella Divisione Acqui venne dunque inviato nell'arcipelago greco dove visse i tragici episodi di Cefalonia. L'esperienza segnò profondamente la vita di Pettenati,che raccontava spesso gli episodi di quei giorni. Dopo l'armistizio del '43 scampò per ben due volte adun'esecuzione, poi venne deportato in Germania dove rimase fino alla fine della guerra. Pettenati, mentre si trovava aCefalonia e Corfù, strinse una forte amicizia con Mario Pasquali, presidente della sezione provinciale di Parma e presidente onorario nazionale dell'associazione nazionale delle famiglie dei caduti e dei superstiti della divisione Acqui, scomparso nello scorso febbraio.
Appena ritornato in Italia, con l'esperienza della guerra alle spalle, Salvatore Pettenati tornò a coltivare i campi a Bardane, la frazione del comune di Terenzo. Qui conobbe Ines Abelli e la sposò nel 1950. Dalla loro unione nacque Alessandro, scomparso prematuramente nel 2012. Nel 1985, dopo una vita dedicata al lavoro e al ricordo di Cefalonia, Pettenati andò in pensione trasferendosi prima a Cella di Noceto e poi a Noceto. Nei giorni scorsi Salvatore Pettenati è stato salutato da parenti e amici nel corso dei solenni funerali celebrati nella chiesa di Noceto . (da La Gazzetta di Parma Samuele Dallasta)
Il Presidente della Sezione di Parma, Fabrizio Prada, ci comunica la triste notizia della morte di Severino Annoni di Fidenza avvenuta il 15 ottobre u.s.. Nato il 13 marzo 1921 apparteneva al 33° Reggimento Artiglieria di stanza a Cefalonia. Dopo aver combattuto e subito la sconfitta, avendo avuto la fortuna di salvarsi, rimase prigioniero nell'isola fino al novembre 1944. Amico intimo di mario Pasquali ha contribuito tutta la vita a tenere desta la memoria dei Caduti della Divisione Acqui andando innumerevoli volte ai convegni e soprattutto nelle scuole a raccontare la propria disavventura vissuta a Cefalonia.
Lo ricordiamo ancora vispo e lucido sul palco di Verona per la commemorazione del 70° anniversario dell'Eccidio. Abbiamo ritrovato fra le innumerevoli interviste che ha rilasciato una frase molto bella: " […]Ricordo con dolore tutte le lettere e le foto dei famigliari dei soldati che gettammo in mare, in quanto quei ricordi rappresentavano l'anima del soldato, morta con loro […]. a nome di tutta l'Associazione Nazionale Divisione Acqui porgiamo ai suoi cari le più sentite condoglianze. (la redazione)
Gabriele Annoni
Ecco, ora siete di nuovo tutti assieme.
Tra quelle rocce bianche, sotto agli ulivi insanguinati, il 33° ARTIGLIERIA della Divisione ACQUI è al completo. Tanti ti aspettavano là (non erano mai tornati da Cefalonia), altri rientrati con te, erano già andati avanti. Siete partiti di diciotto anni, siete tornati di ventitrè, e a chi non hanno tolto la vita hanno rubato comunque tutta la giovinezza.
Forse non siete mai tornati del tutto, un pezzo di voi è rimasto sempre là. Volevate la pace e avete dovuto fare la guerra, avete scelto di non arrendervi, rischiando tutto. Chiedevate, via radio, munizioni e medicine: un silenzio vigliacco è stata l’unica risposta e novemila ragazzi sono morti. Dopo i massacri, per giorni e giorni, nuvole scure hanno coperto il cielo sopra l’isola: era il gasolio usato dai tedeschi per bruciare i cumuli di cadaveri e le case dei contadini che vi avevano aiutato.
Prontezza di spirito e un coraggio disperato ti hanno salvato, ma poi hai ringraziato la buona sorte aiutando e salvando tanti altri. Poi le ferite, la cattura, la prigionia, le botte, la fuga, i partigiani greci, l’arrivo degli inglesi, e finalmente, il rientro in Italia.
Tanti, tornati prima, erano passati da Diolo per parlare con tua mamma e dirgli che ti avevano visto morto: ma la nonna non ci ha creduto, ti conosceva più di tutti, dentro di sè sapeva che eri vivo. Erano lunghe le notti, affacciata alla finestra a guardare sullo stradone, ma lei ti aspettava e da lì sei arrivato.
Vi hanno guardato con sospetto, davate fastidio: stava calando una cappa di piombo, un silenzio pesante, una censura di Stato, per nascondere una vergogna ancor più grande dei massacri: l’abbandono.
La miseria e le fatiche del dopoguerra sono state rese più pesanti da amarezza e delusione, dal timore di aver lottato per niente. Ma non ti sei mai scoraggiato, dovevi solo trovare la direzione.
Così su quella littorina per Fornovo l’incontro della vita: la mamma era bella e tu non eri certo timido. Un amore durato oltre sessant’anni: i primi anni sono stati duri, c’era ancora miseria ma voi, in due, avevate forza per dieci e una grande dignità. Poi sono arrivato io, quante speranze e quanto amore: quello che vi ho restituito è solo una piccola parte di quello che ho ricevuto.
Una vita piena, il lavoro, la famiglia, una politica fatta di ideali (cosa oggi sempre più rara), e tanti, tantissimi rapporti umani, profondi, coltivati con calore e sincerità.
A livello nazionale, sulle vicende di Cefalonia si sgretolava il muro di silenzio e tu qui in zona hai fatto la tua parte, con una testimonianza attiva. Decide e decine di scuole, centinaia di classi, ragazzi e ragazze hanno ascoltato un pezzo di storia che sui libri non c’è, hanno capito e in tanti hanno ringraziato.
Poi sono arrivati Filippo e Tommaso ed è stata una dolce vecchiaia. Hanno avuto tanto da voi, e il loro affetto vi ha sostenuto.
Il viaggio sull’isola col Presidente Ciampi, una grande irripetibile emozione .
Due anni fa l’ultimo dolore, il più terribile, la mamma che se ne va per prima: un dolore non esibito ma mai superato: adesso siete di nuovo insieme, questa volta per sempre.
Ciao babbo.
E' morto ad Arezzo il carissimo amico Giuseppe Maltese. Figlio del Tenente Colonnello Giovanni Maltese che, a Cefalonia comandava il III battaglione del 17° fanteria. Protagonista di episodi eroici durante la battaglia contro i Tedeschi fu poi catturato e fucilato nel Vallone di Santa Barbara.
Giovanni Maltese fu poi insignito della Medaglia d'Oro al Valor Militare. Il caro Giuseppe purtroppo ci ha lasciati e noi abbiamo perso oltre che un amico, un uomo che ha vissuto per il mantenimento della memoria del padre arrivando a far erigere un cippo che ne esaltasse la figura e dedicandosi al ricordo di tutta la Divisione Acqui.
In questa foto lo vediamo al centro, accanto alla presidente nazionale Graziella Bettini, il giorno dell'inaugurazione, ad Arezzo, del viale intitolato ai Caduti della Divisione Acqui. Ti ringraziamo, Giuseppe, per ciò che hai fatto e salutandoti con affetto, porgiamo le più sentite condoglianze alla tua famiglia.( La Redazione)
Gentile Orazio, dimenticavo di informarti, ma forse lo sai già, che il caporal maggiore Francesco Antonio Ortu, classe 1919, soldato di Balotana (Sardegna) della divisione Acqui è morto ieri a 94 anni.
Se n'è andato serenamente, circondato dai 5 figli, all'ospedale di Nuoro. Oggi i funerali.
Informiamo che il 21 luglio è deceduto un nostro reduce Francesco Antonio Bello di Salerno. Apparteneva al 18° fanteria Acqui di stanza a Corfù, ed avrebbe compiuto 90 anni il 4 agosto.
Si è spento a Taranto uno degli ultimi ufficiali della Divisione Acqui che si salvarono dalla fucilazione avvenuta il 24 settembre 1943 in quella famosa “Casetta Rossa" i cui abitanti lo ospitarono prima dell'8 settembre.
S.Tenente del 317° fanteria era fra gli ultimi a dover essere fucilato ma, quando lo chiamarono insieme ad altri sette compagni per essere condotto nei pressi della fossa, corse a dare i suoi effetti personali a Don Formato perchè egli potesse riportarli alla famiglia. Quando, dopo aver consegnato gli effetti al cappellano, si accorse che il gruppo a cui doveva appartenere per essere fucilato era già partito per la triste destinazione. Poi i tedeschi concessero la grazia a quanti erano rimasti in quel cortile ad attendere il loro triste destino. Lo vogliamo ricordare con le poche parole del figlio Costantino : " Dopo 70 anni mio padre ha raggiunto il suop amico alla “Casetta Rossa" Michele Spadaro. E' capitato tutto molto velocemente ……….. ma fortunatamente molto serenamente……". Ci piace ricordarlo nella foto quale giovane S. Tenente a Cefalonia, ma anche in tempi più recenti con il suo sorriso gentile e cordiale. L'Associazione Nazionale Divisione Acqui attraverso i componenti della Giunta si stringe idealmente vicino alla Famiglia ed ai figli porgendo loro le più sentite condoglianze.
IN RICORDO DI NICOLA RUSCIGNO
Si è spento serenamente, a Taranto il 14.08. u.s., all’età di 91 anni e circondato dell’affetto di tutti suoi cari, Nicola Ruscigno, all’epoca dei tragici fatti di Cefalonia e Corfù, S.Ten della Divisione Acqui sopravvissuto alle fucilazioni della Casetta Rossa il 24 settembre 1943.
Iscritto da lunghi decenni all’Associazione Nazionale Divisione Acqui aveva costantemente svolto la sua azione di testimonianza nei confronti dei giovani, come tutti gli altri nostri cari reduci.
Aveva, tra l’altro, inaugurato, trovandosi del tutto casualmente sull’isola di Cefalonia il 1 luglio del 2001, il Museo di Argostoli organizzato in loco dall’Associazione Mediterraneo, con un taglio di nastro effettuato tra la commozione in nome di tutti i suoi Compagni d’armi del 1943.
Come aveva avuto occasione di ripetere negli ultimi incontri pubblici cui aveva presenziato, Nicola è stato ben felice, nel momento dell’estremo saluto, di potersi riunire ai suoi commilitoni di allora, con tutti i capelli bianchi, con l’esperienza di una vita vissuta pienamente nel lavoro e nell’affetto della sua famiglia, ma soprattutto con le stesse convinzioni di un tempo.
La PATRIA era il valore più importante che Nicola e tutti gli altri Acquini Caduti a Cefalonia e Corfù avevano nel cuore in quel lontano 1943 quando fecero la scelta più difficile della loro vita, quella di non cedere le armi.
Quella stessa PATRIA, insieme all’unità della sua famiglia, ha rappresentato per Nicola un riferimento fermo e un approdo sicuro, fino all’ultimo istante.
Non a caso la volontà espressa in vita dal caro Nicola è stata proprio quella di sensibilizzare le nuove generazioni affinchè anche loro possano imparare a nutrire, nel presente e nel futuro, lo stesso sentimento di intenso amore e doveroso rispetto nei confronti della PATRIA, sia essa l’antica Patria-Italia ed anche la nuova e più grande Patria-Europa che si va faticosamente costruendo.
Per realizzare questa sua speranza ci attende, a partire dal 70° Anniversario dell’Eccidio che ricorre proprio quest’anno, un lavoro molto impegnativo che comunque servirà a rendere omaggio al ricordo di tutti i nostri Acquini, ma soprattutto ad onorare il coraggio esemplare dimostrato con quella drammatica scelta compiuta, consapevolmente e liberamente, dalla Divisione Acqui nel settembre 1943.
Al duro lavoro per l’affermazione di un supremo valore, si accompagni sempre un sorriso.
Chi lo ha conosciuto, sa bene che così ha vissuto Nicola Ruscigno e, quindi, così è giusto ricordarlo…
Costantino Ruscigno
Addio a Ferdinando Giordani uno degli ultimi sopravvissuti di Cefalonia.
Si è spento a 91 anni Ferdinando Giordani, uno degli ultimi sopravvissuti dell'eccidio di Cefalonia (oggi alle 17 il funerale a Molveno).
Così lo ricorda Silvio Girardi. «Siamo nei primi giorni dopo il fatidico 8 settembre 1943, le truppe del Reich vogliono vendicarsi del tradimento dell'alleato, la ricerca è puntuale e fredda, non c'è pietà per i “traditori". alla Cà Rossa lo sterminio degli odiati ex alleati continua. Fra i molti condannati inconsapevoli vì è il tante Giordani Ferdi-nando di Molveno. All'inizio si salva, ma poi «viene trascinato fino al luogo dell'esecuzione dietro la Cà Rossa, già i mitra sono pronti a far fuoco, Ferdinando in ginocchio sussurra: “Ma che ghe en podente noi" la frase viene percepita da un soldato del Wer-macht; è un pusterese.
A questo punto l'appartenenza alla nostra terra ha il sopravvento e lui dice: “Nein, nein ist un-ser!" No, è uno dei nostri!
Così Ferdinando Giordani Nanuz è salvo e rientrerà in Italia dopo infinite peripezie nei Balcani. Oggi dopo quasi 60 an-ni di matrimonio con Teresa Bonetti, dopo tanto lavorare è tornato nella Casa della Pace, con il Dio dei suoi padri. Onore ai nostri militi eroi!». (da l'Adige – Trento del 02/08/13)
Salvaterra Paolo nacque a Lipsia nella Germania Est, dove i suoi genitori erano emigrati in cerca di lavoro, il 4 febbraio 1920; dopo pochi anni la famiglia ritornò in Italia, a Tione di Trento dove aprirono un negozio di alimentari in cui Paolo cominciò a lavorare e collaborare fin da piccolo ( come si usava fare allora)Durante la seconda guerra mondiale fu arruolato con il numero di matricola 11831 nel 17°reggimento fanteria ACQUI, compagnia mortai da 81 in cui svolse il compito di furiere.
Partecipò alle operazioni di guerra svoltesi sulla frontiera alpina occidentale, poi dal dicembre 1940 sul fronte greco albanese , a Cefalonia e Corfù.
Tornato in patria riprese la sua attività di commerciante che svolse fino all’età della pensione ingrandendo più volte il proprio negozio e trasformandolo nel 1966 in supermercato (uno dei primi del Trentino).
Nel 1950 si sposò con Pia Bonomi (morta nel 2002) che gli diede 4 figli: Walter (deceduto nel 2003), Patrizia, Costanza e Marzia.
Partecipò attivamente anche alla vita del paese coprendo la carica di presidente della locale Pro Loco, fu consigliere comunale, vice presidente della locale Cassa Rurale, fu tra i promotori e i firmatari dell’atto costitutivo della Cassa Centrale delle Casse Rurali Trentine, suonò il clarino nella Banda Sociale di Tione di cui era Socio Benemerito.
Era un appassionato filatelico ed aveva una bella raccolta di francobolli; ascoltava volentieri la musica, sia classica che moderna; amava ascoltare e commentare le notizie politiche e leggere i giornali; gli piaceva viaggiare, soprattutto in Italia e particolarmente in Toscana dove si recava ogni anno dal 1950 per seguire le cure termali a Montecatini.E’ spirato serenamente a Pinzolo, dove era ricoverato in casa di riposo da poco più di un anno, il 18 aprile 2013. A cura della figlia Patrizia.
CASTELLO MOLINA DI FIEMME – Si è spento a Castello di Fiemme, Angelo March. Aveva 93 anni e nella sua lunga vita era stato sindaco del paese e Scario della Magnifica Comunità. Imprenditore, aveva portato avanti la sua segheria per oltre 40 anni fino al 1988.
Negli anni difficili della guerra, indossata la divisa e spedito al fronte, si era salvato per puro caso dall'eccidio di Cefalonia del settembre del 1943: in quei giorni terribili in cui i nazisti massacrarono migliaia di soldati italiani, lui era in licenza. Da Merano, quando la guerra stava per finire, era poi riuscito a raggiungere in maniera avventurosa la sua valle, dove era stato catturato dai soldati tedeschi che volevano impiccarlo. E ancora una volta si era miracolosa-mente salvato.
Nel Dopoguerra il matrimonio con Herta March (dalla quale ha avuto tre figli: Alfredo, Norberto e Cristina) e l'inizio della carriera politica: sindaco di Castello una prima volta dal 1953 al 1956, una se-conda dal 1968 al 1969 e poi commissario straordinario fino al 1970.
“Ma dal 1956 al 1960 era stato Scario della Magnifica Comunità di Fiemme. Un uomo che ha dato molto al paese e alla comunità)), ricorda l'attuale Scario, Raffaele Zancanella. il contributo di Angelo March ha segnato vari settori: fu uno dei promotori dell'Unione Sportiva San Giorgio, presidente della Commissione di valle incaricata di studiare nuove prospettive turistiche legate alla stagione invernale, promotore della realizzazione dell'acquedotto di Pampeago, membro del Collegio sindacale dell'allora Cassa Rurale di Castello.
li 22 dicembre 2007 questa incredibile vita di passione e dedizione per la sua terra è stata premiata con la nomina a Cavaliere della Repubblica, onorificenza di cui andava molto fiero. I funerali di An-gelo March si svolgeranno oggi alle 14 nella chiesa parrocchiale di Castello di Fiemme. (Da l’Adige del 3 maggio 13)
Breve ricordo di un reduce di Cefalonia del 33° artiglieria Rino Mellarini, classe 1920, amico di Angelo March. Mellarini classe 1920, giovane sotto-ufficiale del 33° artiglieria a Cefalonia, “aiutavo il Capitano Postal di Trento – aiutante Maggiore del 33° artiglieria – a distribuire gli ordini, settimalmente a Cefalonia. Il March era motociclista, il quale mi aiutava a fare questi servizi. Poi, dopo l'8 settembre ci siamo persi di vista, io in Polonia, Angelo March in Germania”.
Si è spento a Cremona il 26 aprile scorso il reduce ultracentenario Faustino Dilda.
Era nato il 6 luglio 1911 a Cella Dati (CR), dove svolgeva il lavoro di contadino quando fu richiamato alle armi nel 1940, nel 17° Reggimento Fanteria Acqui, per partecipare alla campagna di guerra sul fronte greco-albanese. Dopo la resa della Grecia fu trasferito nel maggio 1941 a Corfù. Qui lo raggiunse la notizia della morte della giovane moglie. Successivamente fu spostato prima a Zante, poi a Cefalonia dove era addetto ad una postazione di cannone nella zona di Capo Munta.
Con l'armistizio dell'8 settembre '43, e la conseguente decisione della Divisione Acqui di non arrendersi in modo disonorevole ai tedeschi, ma di combattere, si salvò casualmente dalla fucilazione. “I tedeschi ci catturarono e ci fecero salire su una autocarretta; ma per me non c'era posto, così fui costetto a seguire a piedi. Fu la mia fortuna: quando giunsi a destinazione, i miei compagni che erano saliti sul camion erano già tutti per terra fucilati", raccontò in una lunga intervista del 2010 piena di rimpianti, commozione, invettive, ironia, che l'Associazione di Cremona ha intenzione di pubblicare.
Deportato in terraferma, dopo un mese di viaggio in carro bestiame, giunse in Bielorussia, prima a Brest Litovsk poi a Pinsk, dove fu costretto ai lavori forzati per costruire casematte per l'esercito tedesco. Mentre questo retrocedeva, incalzato dall'armata rossa, anche Faustino arretrava sempre al servizio della linea del fronte tedesco, prima in Polonia poi in Germania.
La cattura da parte dei russi nel febbraio del '45, però, per Dilda non rappresentò la libertà. Infatti i sovietici lo riportarono al punto di partenza, in Bielorussia a Borisov, a costruire ferrovie per il loro esercito. Solo nell'estate '45 fu trasferito a Budapest in mano agli americani, che finalmente lo rimpatriarono, e potè riabbracciare il piccolo figlio Osvaldo dopo quattro anni di lontananza.
Lo scorso anno è stato insignito della Medaglia d'Onore dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Giovanni Scotti
Ieri sera è venuto a mancare il Cav. Giovanni Santaera, classe 1919, il maresciallo in congedo dell’Esercito, combattente a Cefalonia, superstite della del 17° Reggimento Fanteria Divisione “ Acqui “, e deportato in un campo di prigionia in Russia dopo i tragici eventi di Cefalonia e Corfù.
Il maresciallo Santaera (a sx. nella foto a Cefalonia il 25 aprile 2007 dopo aver stretto la mano al presidente della Repubblica)è stato insignito di alcune onorificenze per aver combatto in Francia e in Albania e ha ricevuto dal Presidente della Repubblica la medaglia d’onore per gli ex deportati nei campi di concentramento nazisti.
Chiedo a questo Comando di valutare la possibilità di inviare una rappresentanza per le esequie che si terranno oggi 22 marzo alle ore 17.00 nella Chiesa di Santa Maria di Portosalvo in Pozzallo.
Il corteo funebre muoverà alle ore 16,30 dall’abitazione in Via Scaro 2.
Priof. Carmelo Nolano
Purtroppo lunedì 4 marzo ci ha lasciato Salvatore Grasso, classe 1917, reduce del 317°.
Le sue vicissitudini di guerra sono rocamboleshe, fu preso prigioniero ad Argostoli il 22 settembre, imbarcato sulla Ardena si salvò dal naufragio. Portato con un altra nave verso la Grecia affondò al Pireo, salvandosi di nuovo. Fu internato in Germania e rientrò a napoli solo a guerra finita, impiegando ben tre mesi da Verona (dove venivano ammassati i reduci che rimpatriavano) a Napoli con le tradotte militari. E' rimpatriato con gli stessi abiti che aveva al momento della cattura: pesava poco più di 40 kg.
Lucidissimo ed attivo fino al momento del decesso era il decano dei pizzaioli napoletani. Ha conservato gelosamente (nascondendolo durante la prigionia) uno dei volantini lanciati su Cefalonia dai tedeschi.
Nella foto, mentre riceve la medaglia, con gli altri reduci, dal Gen Rosario Castellano al Comando Divisione Acqui a San Giorgio a Cremano, a novembre 2011.
Ci danno purtroppo notizia della perdita di questo reduce che ci ha lasciato il 11 agosto 2011.
A Roma il 27 gennaio 2011 Vittorio (1° a sinistra nella foto insieme a Ferretti e Villani) ha ricevuto, al quirinale la Medaglia d'Onore.
Vittorio nacque a Roma nel 1919. La seconda guerra mondiale lo vide partecipe inizialmente sul Fronte Occidentale e dopo mille peripezie fu inviato a Cefalonia nel 33° reggimento artiglieria nel reparto munizioni e viveri sotto il comando del capitano Grazioli (poi presentatosi spontaneamente di fronte al plotone di esecuzione).
Vitali fu messo al muro con altri soldati per essere fucilato, se non fosse che all’ultimo momento arrivò un ufficiale tedesco, Cappellano Militare, che fece desistere i propri connazionali dal finalizzare l’esecuzione. Prigioniero, si fece a piedi il tragitto dalla Grecia fino alla Yugoslavia, prima fino a Lubiana (dove giunse lo stesso giorno della capitolazione dei Tedeschi) per poi tornare indietro fino a Spalato.
Tenuto prigioniero per moltissimo tempo tornò a casa solo alla fine di giugno 1946.
Trento – Mio padre era nato 08.12.1921 – morto il 29.12.2012. Durante la seconda guerra mondiale fu chiamato alle armi e partì, nella fanteria con la Divisione Acqui, alla volta della Grecia ove vi rimase per ben 5 lunghi anni.
Nei suoi racconti citava questo come un fronte di guerra molto impegnativo e che divenne tragicamente famoso in occasione dell’eccidio di Cefalonia.
Lui, avendolo vissuto in prima persona, lo ricordava in modo preciso e con una sicurezza nella narrazione, anche negli ultimi anni, che ti fa comprendere come tali episodi furono di una così terribile efferatezza.
Lui, assieme a diversi suoi compagni, riuscì a fuggire in montagna dove trovarono aiuto presso i partigiani greci. Poi il ritorno in patria.
Voglio solo ricordare che Lui mi diceva che tutto questo non si deve mai dimenticare perché il ricordo di quanto accaduto doveva, deve, dovrà essere di monito alle generazioni affinché non si ripetessero tali brutalità.
Reduce di Cefalonia del 17° Reggimento. (Ricordo del figlio Alessandro)
Trento – Nato a Trento il primo luglio 1921 – morto a Trento il 23 gennaio 2013 Reduce di Cefalonia del 317 Reggimento Fanteria 9a Compagnia.
Per più di trent'anni ha gestito assieme alla moglie Olga, il bar Ideal in pieno centro a Trento, luogo di ritrovo nei tempi passati, di numerosi “Acquini". Più di sessant'anni di matrimonio, ricordava spesso le tragiche vicende ai propri famigliari, dove ancora traspirava il dolore di quelle lunghe e dolorose giornate e nel giorno delle esequie, il parroco della parrocchia “Santissimo" di Trento don Fiorenzo Chiasera ha ricordato “…quando andavo a trovarlo a casa, Bruno mi parlava sempre della tragica storia della Divisione Acqui, della morte, della disperazione di tanti giovani, partiti per la guerra e per molti di loro, la stragrande maggioranza, non fare più ritorno” addio caro Bruno.
Franco Menapace
Parma, 2 febbraio 2013: un altro importantissimo componente della nostra Associazione ci ha lasciati. Mario Pasquali presidente Onorario Nazionale, presidente della sezione provinciale di Parma, morendo, ci ha sorpreso poiché eravamo tutti certi che fosse inaffondabile e infinito. Mancherà a tutti questo suo meraviglioso sorriso e la sua grande bontà.
Una vita intera dedicata oltre che alla sua famiglia anche ai compagni della sua Divisione Acqui: quelli vivi ma anche quelli che a Cefalonia ebbero meno fortuna e lì pagarono il prezzo della vita per difendere la loro dignità di uomini e di italiani. Ci sarebbero infinite cose da dire su questo sorridente signore che tanto ha fatto per trasmettere la memoria e quei valori in essa contenuti a migliaia di ragazzi di tantissime scuole: non basterebbe un libro.
Nella chiesa di San Paolo a Parma durante la funzione per l’ultimo saluto le parole della nostra Presidente, Graziella Bettini rendono il grande onore che Mario ha meritato: “A nome di tutta l’Associazione Divisione Acqui ,di cui è presente il glorioso Medagliere, ed anche a nome di tutti coloro che non sono qui , ma avrebbero voluto esserci, porgo io, come presidente, l’ultimo saluto a Mario Pasquali, Presidente della Sezione di Parma, e Presidente Onorario dell’Associazione Divisione Acqui.
A lui tutti rivolgiamo il più riconoscente ed affettuoso ringraziamento per essere stato tra noi e con noi. Quando muore un reduce della Divisione Acqui, muore una grande parte della nostra più preziosa eredità, perché è anche a loro , alle loro indicibili sofferenze che dobbiamo la nostra libertà, il nostro vivere in democrazia. Ma Mario Pasquali è stato un acquino che ci ha insegnato, con la passione del testimone, a ricordare l’eroismo dei caduti e dei reduci dell’Acqui. Attivo sempre nella sua sezione, l’ho conosciuto con sempre maggiore continuità dal 2002, quando, in occasione del Convegno ad Arezzo destinato a tutte le ultime classi degli Istituti della città, venni qui a Parma perché intervenisse tra i testimoni. Rifiutò l’invito perché, disse, il suo livello di istruzione non gli permetteva di affrontare gli studenti: temeva poi che non lo avrebbero compreso poiché si esprimeva, qua e là, in dialetto ..A distanza di pochissimo tempo invece, ,come per un’improvvisa impennata, dedicò tutta la sua attività alle scuole, di ogni ordine e grado., Con orgoglio mi diceva, ogni volta che ci incontravamo, il numero ed il nome degli istituti ove si recava: ed io stessa, nel grande ed articolato Convegno di Parma del 2007, potei costatare con quanto caldo affetto era circondato dagli studenti( più di 1.000) che avevano ascoltato la sua testimonianza, assetati di vicende vissute, attratti dal suo narrare semplice, privo di enfasi, ma capace di trasmettere emozioni e quindi di suscitare riflessioni .Mi diceva “Bisogna consegnare la Memoria a chi può farla propria e viverla nel futuro”
Però non soltanto i giovani…anche gli adulti erano catturati dal suo racconto, drammatico ma capace sempre di non scivolare,grazie ad un moto improvviso di humour, nel sentimentalismo. E le poche parole in dialetto? Avvincevano tutti per la freschezza e la coloritura che davano alle sue esperienze. Potrei citare tante manifestazioni, a molte delle quali sono stata presente, di questa grande considerazione ed ammirazione per lui. Ma credo che qui basti ricordare l’invito che ricevè dal Consiglio comunale di Parma, riunito in seduta, perchè intervenisse alla celebrazione del 25 aprile , dimostrazione di quanto la città amasse e rispettasse questo grande ed umile reduce
E così lo abbiamo amato anche noi dell’Acqui, , e così lo ricorderemo, ora che ha ritrovato tanti amici morti a Cefalonia e Corfù in quei terribili ma gloriosi anni della sua giovinezza.”.
Graziella Bettini
Chieti :Il 2 gennaio è scomparso il reduce Achille Umberto Di Nisio cl. 1923 di San Giovanni Teatino (Chieti) appartenente al 17rtg. E' il protagonista di un paio di documentari che ho realizzato .
Lui era il soldato che aveva accompagnato il tenente a sotterrare la bandiera di guerra a Lakitra. Li, sierano incontrati con un altro tenente accompgnato da un soldato. Ai due fanti fu detto di restare al comando e gli ufficiali si allontanarono. Attesero tutta la notte e la mattina i due decisero di tornare ai rispettivi reparti. Del tenente non ebbe più notizie ( fu fucilato probabilmente indossando sotto la camicia la bandiera) e lui arrivò in tempo al reparto per partecipare agli scontri di Razata. Al momento, la sua testimonianza è forse la più completa su quella battaglia.
Fabrizio Bruni
Novara: con immenso dolore comunico, la morte del l'ing, Mario Gherzi figlio del generale Edoardo, non ho parole ..era un caro amico ed è una grave perdita per la sezione di Novara . Nonostante la differenza di età( aveva 90) ci legava un grande affetto.
Pochi giorni fa ci siamo sentiti telefonicamente aveva qualche problema di salute ,ma nulla faceva prevedere il peggio ,anzi ci eravamo ripromessi di risentirci per una partita di bridge. la sezione di Novara senza Mario non ha quasi più ragione di esistere.
Franca Volpe
Bologna: il 29 novembre u.s. è purtroppo deceduto il caro amico Dante Lazzari. Aveva 96 anni l’ex finanziere reduce di Cefalonia.
Dopo essere stato sul fronte greco albanese e dopo la resa della Gre-cia si fermò parecchio tempo in Croazia e aggregato alla IV compagnia. In quello stato si ammalò di pleurite guadagnandosi il rientrò in Italia per la convalescenza. Nel 1943 fu rimandato in Grecia e precisamente a Cefalonia passando da Corfù. Nel corso della battaglia viene fatto prigioniero dai Tedeschi e deportato a Patrasso dove rimane per quasi un anno riuscendo poi a fuggire dalla pri-gionia. Una volta alla macchia apprende dai greci delle navi inglesi che lo raccolgono e lo portano in Africa Settentrionale.
Ritornerà a casa solo nel Giugno del 1946. (OP)
Napoli: Stamattina ci ha lasciati Aldo Colombai, reduce di Corfù. Aldo era un maestro dell’arte fotografica e anche uno scrittore attento, un ottimo narratore capace di raccontare le vicende tragiche che noi studiamo e ricordiamo con penetrante sensibilità. Io lo ricorderò, anche, come finissimo gentiluomo, rappresentante di quell’intellighenzia napoletana di arti e di mestieri che oggi si è perlopiù persa.
La presentazione di un suo libro rappresentò, diversi anni fa, il mio “debutto” sul palcoscenico della storia militare. Prima della discussione pubblica mi chiese, privatamente, un parere. Gli dissi che mi erano piaciuti molto l’impianto complessivo del libro, lo stile narrativo e l’idea generale, sviluppata in chiave comparativa, delle diverse “strade” percorribili dopo l’8 settembre, ma che non condividevo in pieno l’ipotesi interpretativa della sua ricostruzione.
Con la gentilezza e l’eleganza che lo contraddistingueva, mi ringraziò per l’onestà intellettuale e mi pregò di dire queste cose pubblicamente, apprezzando, in quella che era allora davvero una “giovanissima”, la spontaneità dello sforzo scientifico. Capii allora che, nella strada che avevo scelto e che si preannunciava lunga e tortuosa, non sempre l’altra parte sarebbe stata rappresentata da nemici o avversari, ma che anzi avrei potuto imbattermi in idee diverse che, pur tenendo saldi alcuni principi basilari, avrebbero potuto arricchirmi e spingermi alla molteplicità dei punti di vista. Per tutto questo lo ringrazio e lo ricorderò.
Isabella Insolvibile
Bergamo: Bianchi Alessio era nato a Carona provincia di Bergamo il 20-11-1922 Chiamato alle armi il 4-05-42 nel 18° reggimento fanteria. Dopo l’addestramento a Merano fu imbarcato a Bari il 5-07-42, giunse in territorio Greco il 06-07-42. Il 03-08-42 fu assegnato al 317° reggimento fanteria divisione Acqui.
Reduce di Cefalonia fu catturato il 22/09/1943. I luoghi dove fece la prigionia furono: da Cefalonia venne trasferito a Lesna Russia, poi in Germania Campo Konnesburg dal quale fu liberato il 20/10/1945. amava ricordare quando imbarcato sulla nave che affondò appena lasciato il porto riuscì a salvarsi a nuoto e quando raggiunse la riva fu arrestato dai tedeschi che (nel mare aveva perso i pochi vestiti che indossava) nel vederlo passare le donne del posto gli gettavano senza farsi vedere dai tedeschi gli indumenti intimi.
Morto a San Pellegrino Terme dove si era trasferito dopo il matrimonio il 26/10/2012.
Parma: il presidente di questa sezione Mario Pasquali, ci informa della dipartita del reduce di Cefalonia Ten. Aldo Franchi, il quale faceva parte del 17° reggimento fanteria e ricopriva la carica di segretario della sezione stessa. (OP)
Sample TextSi è spento a Genova il 19 ottobre scorso il caro Luigi Zendri. La nostra Associazione perde così un altro importante testimone dei fatti che si susseguirono a Cefalonia nel terribile settembre 1943.
Luigi apparteneva al 317° reggimento fanteria ed era un autiere ed era stato insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare per il comportamento tenuto sul campo di battaglia quando, dopo la nostra sconfitta nel feroce scontro al ponte Kimoniko dovuta soprattutto alla spietata azione aerea nemica, egli rimaneva sul luogo per aiutare i compagni feriti portandoli poi in salvo con la sua auto carretta. Catturato dai Tedeschi, riuscì comunque a scampare al massacro, […] “ per due giorni, scortato da due ufficiali e da un manipolo di soldati, fui costretto a guidare il mio camion che era diventato l’auto carretta della morte. Chiunque trovavamo in divisa italiana veniva fucilato sul posto. “ […].
Zendri rimase poi prigioniero sull’isola di Cefalonia e collaborò con il Capitano Apollonio nel “Raggruppamento Banditi Acqui” e tramite il suo lavoro in officina riuscì a sabotare diversi mezzi tedeschi.
Luigi Zendri ha dedicato tutta la sua vita impegnandosi a mantenere vivo il ricordo del sacrificio di tutti i soldati caduti nell’isola greca, collaborò con la missione militare che riuscì, nel 1953, a portare a casa i resti di moltissimi ragazzi fucilati a Troianata e in altri luoghi e nascosti in molte fosse comuni. Ha partecipato con passione alle attività dell’Associazione Nazionale Reduci, Superstiti e Famiglie dei Caduti della Divisione Acqui, divenendo presidente della sezione provinciale di Genova, diventando poi il presidente Nazionale e dopo 30 mesi alla dirigenza fu comunque eletto Presidente Onorario.
Un altro baluardo della nostra organizzazione ci lascia anche se il suo ricordo rimarrà nei nostri cuori e per questo continuerà a vivere attraverso le emozioni che ci ha tramandato. L’Associazione Nazionale Divisione Acqui si stringe attorno alla sua famiglia in segno di sentito e rispettoso cordoglio anche e soprattutto a nome di tutti i suoi iscritti e di quei pochi suoi commilitoni che ancora viventi, possono regalargli una lacrima di tenera commozione. (op)
ll'età di 90 anni è mancato il novese Giuseppe Ansaldi.
Ansaldi era scampato all'eccidio della Divisione Acqui a Cefalonia, in Grecia, dove, dopo l'8 settembre 1943, i tedeschi uccisero migliaia di soldati italiani che decisero di non combattere dalla loro parte, dopo la firma dell'armistizio. Ansaldi finì in mani tedesche e fu deportato in Germania, per poi finire nelle mani dei russi in Turkmenistan e poi in India prigioniero degli inglesi.
A Cefalonia si salvò perché fu destinato dai tedeschi a raccogliere le armi dopo i combattimenti. Ansaldi riuscirò ad evitare la morte anche nell'affondamento delle tre navi su cui i prigionieri vennero ammassati dai nazisti, e che andarono a fondo a causa delle mine. Ansaldi, dopo queste esperienze, è vissuto nella speranza che venisse fatta giustizia sulla strage di Cefalonia, ma dopo la morte del comandante nazista Otmar Muhlhauser, unico imputato al processo per l'eccidio, anche questa speranza svanì. (da Alessandrianews)
Un'altra stelletta è volata in cielo , mio papà reduce della divisone acqui è deceduto il 14 d'agosto .Io voglio raccogliere il suo testimo e continuare la sua lotta .Per qualsiasi comunicazione vi prego di contattarmi non dimenticatemi io non lo farò mai.
Ansaldi Pierangelo
La Sezione di Firenze e la Sezione di Pisa della Associazione Nazionale Divisione Acqui comunicano la triste notizia della scomparsa del Reduce della Divisione Acqui , Artigliere Remo Pacifico Gianneschi classe 1919. Remo apparteneva al 33° Reggimento di Artiglieria Sezione Munizionamento e Viveri ed era conduttore di autocarrette. Pochi mesi fa dopo lunga malattia era morta la moglie, oggi Remo l'ha raggiunta in cielo. I funerali martedi alle ore 10 dalla chiesa di Lunata (LU).
Parteciperà una nostra delegazione con il Labaro. Recentemente aveva rilasciato una video intervista pubblicata su Focus Storia sui fatti di Cefalonia. Grazie Remo grazie per quello che hai fatto…riposa serenamente.
E’ morto Salvatore di Rado. Filetto, il suo paese in provincia di Chieti gli dà addolorato l’estremo saluto. Salvatore, classe 1916 è morto all’età di 96 anni dopo una vita spesa nel ricordo della sua “Divisione Acqui” nella quale apparteneva al 17° reggimento fanteria.
Lo ricordiamo in tutta la sua dolcezza e disponibilità nel libro in cui è protagonista: “La collina dei fuochi Fatui” scritto in modo veramente appassionato dal giovane giornalista Emiliano D’Alessandro. Ultima manifestazione a cui aveva partecipato era “Per non Dimenticare” organizzata dal Circolo Filatelico e dall’associazione Culturale Terra e mare entrambi sodalizi di Roseto degli Abruzzi. A quella manifestazione era presente anche il sindaco di Filetto, Sandro di Tullio e i suoi familiari, sua nuora Jolanda, dal palco del Kursal di Giulianova ha raccontato la vicenda vissuta a Cefalonia da Salvatore.
Si comunica che il 17 Maggio è mancata la moglie del nostro Reduce “Remo Pacifico Gianneschi da tempo gravemente ammalata. La moglie di Remo aveva voluto essere al fianco del marito , anche se in barella , durante consegna della Medaglia della FIVL effettuata il 27 dicembre scorso presso il Comune di Capannori . (Valerio Mariotti)
Apprendiamo purtroppo anche della scomparsa del reduce Giovanni Olinto Perosa. Lo abbiamo sa-puto purtroppo con molto tempo di ritardo, ed ora volgiamo un estremo saluto ad una persona che tanto ha fatto per l’Associazione Nazionale Divisione Acqui.
Il modo migliore per ricordarlo è la diffusione della poesia da lui scritta e che ricorda al di là di ogni ricostruzione, nel modo migliore la tragedia di Cefalonia.
Il dì plui trist Nus puartin Vierz Argostoli Incolonaz Sote le curte cane Del “mascin” Un puar drapel Batut e dezimat Vin piardut Guere e speranze |
E i nestris muarz Son lì par tiere Di cà di là de’ strade Cui voi sbaraz E il mar….lajù Cui tant ò vin sperat Nus vuarde Indiferent e mut! |
*Il giorno più triste. Noi partimmo verso Argostoli, incolonnati, sotto le corte canne delle “Machine pistole”. Un povero drappello, battuto e decimato. Abbiam perduto guerra e speranze, e i nostri morti son lì per terra di qua e di là dalle strade con gli occhi sbarrati. E il mare laggiù……in cui tanto abbiam sperato ci guarda indifferente e muto!
Da Trentino del 4 marzo. Riva: nella sua casa di via Rovigo a due passi dall’orto e dai fiori cha aveva coltivato con immensa passione, mentre gli ultimi raggi di sole inargentavano gli olivi del suo amato Brione, se m’è andato Luigi Miorelli, uno dei più longevi di quella straordinaria generazione di insegnanti elementari entrati nelle aule del Basso Sarca all’indomani dell’ultima guerra. Il prossimo 19 marzo il maestro Gino come tutti lo chiamavano a Sant’Alessandro e nella natia Grotta – avrebbe compiuto 92 anni. Una vita lunga: mite e avventurosa nello stesso tempo. Era infatti uno dei sopravissuti dell’eroica “Divisione Acqui”, il corpo di spedizione italiano che nell’estate del 1943, sparpagliato nelle isole di Cefalonia e Corfù, decise di non arrendersi ai tedeschi dopo l’armistizio, pagando di conseguenza la feroce rappresaglia nazista. Nelle due isole greche i morti italiani furono migliaia. Tra questi anche il tenente Livio Miorelli, fratello di Gino, anch’egli insegnante, ucciso dal fuoco tedesco mentre soccorreva il suo capitano. Gino Miorelli riuscì invece a salvare miracolosa-mente la vita. Fu imprigionato per due anni e ritornò nelle casa dei genitori contadini alla Grotta , in una notte del 1945. Con altri compagni aveva risalito a piedi o con mezzi di fortuna, tutta la Ju-goslavia. Quando rivide la sua famiglia pesava a stento 40 kg. La sorella ricorda ancora i pantaloni corti e sbrindellati che portava. E le parole commosse, dolorosissime, con cui confermava che il fra-tello Livio era proprio morto in terra greca. Finita la guerra il maestro Miorelli era stato per lunghis-simi anni segretario della sezione trentina dell’Associazione Nazionale Divisione Acqui. Aveva raccolto una montagna di documenti e testimonianze. Era stato protagonista di tutte le grandi com-memorazioni. L’ultima, dieci anni fa , nel sacrario di Cefalonia con Azeglio Ciampi, quando, sul ter-ritorio, aveva avuto modo di illustrare al Presidente della Repubblica le postazioni dei cannoni, le fosse dei soldati fucilati, gli approdi delle navi tedesche prese a mitragliate.
Le testimonianze della Acqui e il desiderio di immortalare il sacrificio dei compagni d’arme hanno accompagnato l’esistenza del maestro Miorelli. Sul fronte dell’insegnamento e della quotidianità resta invece4 il ricordo dolcissimo di un maestro buono e generoso, di un uomo che amava la natura, orgoglioso delle sue origini contadine come dei libri e delle letture. Perché non c’è cultura vera se non ci sono le radici , la famiglia, la coscienza di portare avanti e migliorare il bagaglio ricevuto dai (nella foto Natale Giovannini) genitori.(SM)
In questa sezione dobbiamo purtroppo annotare la scomparsa di un altro superstite: si tratta di Natale Giovannini. Nato il 17 dicembre 1920 all’età di anni 91 si è spento il 20 febbraio u.s..
Giovannini faceva parte del 17° reggimento Fanteria di stanza a Cefalonia. Il suo reggimento fu il reparto maggiormente coinvolto nell’episodio successo nelle isole di Cefalonia e Corfù in quel terribile set-tembre 1943, e pagò il prezzo del maggiore numero di morti rispetto agli altri reparti che comunque versarono il loro tributo di sangue.
Il caro Natale fortunatamente riuscì a salvarsi dal terribile eccidio ed a far ritorno a casa.(OP)
BOLOGNA, FE, MO: un altro reduce ci ha lasciato. Riccardo Mengoli, classe 1921, a Cefalonia, faceva parte della 26ª compagnia del 110° battaglione mitraglieri d Corpo d’Armata.
Dopo una breve battaglia venne catturato dai Tedeschi nei pressi di Capo San Teodoro; portato ad Argostoli nel cortile di una casa assieme ai suoi compagni, vide che i pochi Tedeschi che li avevano catturati si accingevano a fucilarli con la mitragliatrice. Riuscì, durante la sparatoria, con un balzo, a scavalcare un muretto alle sue spalle e successivamente a salire sul tetto di una piccola casa, al momento disabitata per lo sfollamento dei suoi abitanti. Col buio uscì dalla casa e tornò nel cortile della fucilazione trovandovi un paio di compagni ancora vivi. Li porta nella casa e colà restano nascosti per altri tre giorni.
Dopo il 22 settembre, cessate le ostilità, lasciò l’edificio riuscendo a rifugiarsi in un orto nei pressi della Casetta Rossa dove Mengoli ricordava di aver visto dei pomodori in un rifugio scavato nella terra e coperto da fascine. Durante la permanenza in quel rifugio assistette alla fucilazione degli ufficiali avvenuta la mattina del 24 settembre 1943.
BOLOGNA, FE, MO: Anche Remo Bortoli ha abbandonato, in questi giorni di fine febbraio, la sua vita terrena. Remo faceva parte del 33° reggimento Artiglieria ed era nella Batteria comandata dal Tenente Apolonnio, che lui ricordava sempre con grande stima e grande affetto. La Divisione Acqui gli è sempre rimasta nel cuore accompagnando la sua lunga vita e facendogli sempre ricordare con orgoglio e con tristezza i compagni, salvatisi o uccisi dal fuoco tedesco, nell’isola di Cefalonia.
BOLOGNA: a 95 anni ci ha lasciati il buon Bruno Ramponi. Reduce del 317° fanteria 1° battaglione IV Compagnia ha sempre partecipato a qualsiasi manifestazione, in ricordo dei compagni caduti della Divisione Acqui, cui fosse invitato. Lo vediamo nella foto a sinistra mentre regge il nastro commemorativo di una mostra sulla sua amata Divisione.
L’appartenenza al 1° battaglione lo vide protagonista nella battaglia per la riconquista del Ponte Kimoniko. Il battaglione purtroppo fu sconfitto e disperso e lui fu catturato e condotto alla caserma Mussolini. La sua prigionia non finì in quel luogo ma continuò attraverso l’Europa avendo epilogo in un campo di lavoro in Bulgaria. La sua famiglia lo riebbe a casa solo dopo la fine della guerra. (OP)
PADOVA: all’età di anni 94 si è spento in quel di Valdagno in provincia di Vicenza Bruno Rasia. Al centro nella foto che lo ritrae, sul fronte greco albanese con i commilitoni, Bruno era Tenente del 33ª compagnia Genio TRT. Dopo aver fatto il fronte albanese passò per l’isola di Corfù e quindi fu trasferito a Cefalonia dove fu sorpreso dalle vicende successive all’ 8 settembre 1943.
Fortuna volle che quando cominciarono gli eccidi egli si trovava lontano dai campi di battaglia in quanto impegnato a ripristinare delle linee telefoniche. Aiutato dalla popolazione di Cefalonia, riparò sulla costa occidentale greca nella regione Etolia – Acarnania nel paese di Katoki dove fu accolto in casa della famiglia Bacopanos che lo ospitò e protesse dai Tedeschi fino al suo rientro in Italia.
PARMA: Questo simpatico signore che porta con orgoglio, attaccato al bavero della giacca, la coccarda con i colori della Divisione “Acqui” si chiamava Giovannino Alba e apparteneva al 17° reggimento Fanteria. Purtroppo quella coccarda che sempre ha indossato nelle molteplici commemorazioni dell’Eccidio di Cefalonia, non lo ha salvato da quello che si definisce l’ultimo passo della sua vita. E così un altro reduce ci ha lasciato nel mese di novembre 2011 contribuendo ad assottigliare ulteriormente la già scarna lista dei nostri eroi che riuscirono a tornare a casa dall’inferno di Cefalonia.
PARMA: nato il 1° ottobre 1920 a Fidenza. Si è spento all’età di 92 anni un altro reduce della Divisione “Acqui”. Giuseppe Fagnoni: questo il nome di quel ragazzo che lavorava nei campi quando fu arruolato e mandato a far parte della 44ª sezione di Sanità. A differenza di molti suoi compagni che furono fucilati a Cefalonia nel villaggio di Valsamata, lui riuscì a fuggire per poi essere di nuovo catturato dai Tedeschi e mandato in prigionia nella Prussia Orientale, per essere fatto prigioniero anche dai Russi che lo rinchiusero in una cella in Ucraina.
Giovanni era orgoglioso di aver fatto parte della Divisione “Acqui”e raccontava spesso quei momenti e le sofferenze pagate per amor di patria.
AREZZO: nato ad Arezzo il 24 agosto 1924 e morto in Arezzo il 4 gennaio 2012. Partito per Merano il 16 agosto 1943, doveva essere inviato a Corfù, per far parte del 18° Reggimento Divisione Acqui-3° compagnia, Mortai 81. Fu fatto prigioniero il 13 settembre '43, e mandato in campo di concen-tramento nella stessa giornata. Il suo viaggio di ritorno verso casa cominciò il 1° ottobre '45 e riabbracciò la mamma il 19 dello stesso mese.
Della sua esperienza nei campi di concentramento ha dato testimonianza nel libro “Semi di lino cotti". regalato o dato su richiesta con una piccola offerta: il ricavato fu interamente donato all'Associazione Italiana ricerca contro il cancro, nella speranza che la ricerca e la sua testimonianza crescano e germoglino insieme.
Ha sempre parlato con commozione dei giorni trascorsi in prigionia ed ha cercato di trasmettere i valori in cui credeva e ciò che la guerra gli aveva insegnato, a dure spese.
PARMA: “Era fiero di avere indossato una gloriosa uniforme, quella della Divisione Acqui, una delle grandi unità di punta del Regio Esercito durante la seconda guerra mondiale, annientata dai tedeschi nell’isola di Cefalonia”.
Così la Gazzetta di Parma del 27 agosto 2011 ricorda la scomparsa del reduce Achille Spotti alla veneranda età di 91 anni. Per aver partecipato alle vicende della Divisione Acqui, l’Associazione Nazionale Reduci e Combattenti e Reduci gli conferì una medaglia d’argento accompagnata da un attestato per aver resistito, con i commilitoni alla prepotenza tedesca.
MILANO: è morto il reduce di Cefalonia GIULIO CRESPI. Apparteneva al 317° Reggimento Fanteria “Acqui" . E' volato nel paradiso degli Eroi il nostro caro Giulio, uno delle cinque colonne della nostra sezione provinciale di Milano: CIAO GIULIO!!!
Nella fotografia qui a sinistra vediamo Giulio che, a Verona, riceve la medaglia d'Argento dal rappresentante della provincia veronrese.
Ci pare giusto pubblicare le lettera di Luciana, figlia di Giulio, scritta alla sezione milanese della nostra Associazione e al presidente Costantino Ruscigno. […] Grazie a Voi, per tutto l'impegno volto a ottenere finalmente il riconoscimento della verità di queste pagine di storia della nostra Italia; grazie al Presidente Nazionale prof.ssa Graziella Bettini. per tutto il grande lavoro svolto fin qui e che auguriamo possa procedere ancora proficuo e fecondo per il futuro. Grazie per aver sottolineato durante l'accorato saluto al mio papà, il rispetto ed il riconoscimento di quei valori così importanti allora e che ora lo sono più che mai per i giovani che costituiranno il nostro futuro, valori di cui mio padre fu assolutamente portavoce e testimone.
Con questa mail volevo informarVi che in data 12 dicembre 2011 è deceduto un Reduce della Acqui. Si tratta del soldato VACCARO GAETANO, nato a Francavilla di Sicilia il 21 marzo 1921, matricola 17834, che nel settembre del 1943 era in forza al 33° battaglione mortai da 81, allora di stanza a Corfù, successivamente catturato dai tedeschi.
Antonino Vaccaro
All'età di 96 anni a Robecco è venuto a mancare il reduce di Cefalonia Romano Frosi. Appartenente al 17° reggimento fanteria della Divisione Acqui, ricopriva il grado di sergente ed era capo furiere.
Riuscì a sottrarsi al massacro della Acqui e riuscì perfino a sottrarsi all'internamento nei campi di concentramento tedeschi e fu talmente colpito da quella immane tragedia che in tutta la sua vita rifiutò tutto quanto appartenesse alla cultura tedesca. Nato il 5 luglio del 1915 ci ha lasciato il 4 settembre u.s.
Esprimendo il proprio cordoglio l'Associazione si stringe idealmente attorno ai suoi familiari.
Il giorno 26 agosto nel pomeriggio è deceduto il reduce Luigi Baldessari (classe 1916). I funerali si sono tenuti domenica 28 agosto alle ore 18.00 nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Roncegno Terme (Tn). La salma verrà tumulata nella tomba di famiglia presso ilcimitero parrocchiale di Roncegno Terme. Questa triste notizia ci è stata trasmessa dalle nipoti Romana e Marta, che ringraziamo e con le quali ci scusiamo per non aver potuto pubblicarla in tempo per il funerale.
Vorremmo ricordare a quanti non lo sapessero che l'artigliere Luigi Baldessarri, fuggiasco dall'isola di Santa Maura, sbarcò a Cefalonia portando la notizia che i tedeschi non rimpatriavano nessuno, come avevano promesso durantte le trattative, ma fucilavano gli ufficiali e inviavano nei campi di concentramento.
L'Associazione si unisce al cordoglio dei familiari per la perdita di uin uomo che ha dedicato la sua vita anche e fortemente al ricordo della tragedia della Divisione Acqui.
Il 15.07.2011 in Longobucco (CS) è morto Gagliardi Domenico classe 1917. combattente della II° guerra Mondiale. aveva fatto parte del XVII Battaglione di Artiglieria leggera della Divisione Acqui in Cefalonia. Ho sempre sperato, perchè so che ci teneva, in un plauso , un cenno delle istituzioni al suo dovere.
il figlio Enzo Gagliardi
Ci ha purtroppo lasciati il fante del 317° Reggimento Fanteria Schio Remo, ce lo comunica la figlia Mara. Remo era l'ultimo feltrino superstite di Cefalonia. salvatosi miracolosamente dal massacro dei nostri soldati ad opera dei tedeschi fu catturato e condotto alla caserma Mussolini. Imbarcato fu poi condotto a Patrasso e da lì a Corinto. In quest'ultimo posto rimase prigioniero per un anno, ma poi trovò l'occasione di fuggire durante un trasferimento che lo avrebbe portato nei campi di concentramento est europei. Recuperato dagli Inglesi finisce il suo percorso nei campi di concenttramento inglesi in Egitto e Palestina.
L'Associazione Nazionale Divisione Acqui esprimendo le più sentite condoglianze ai famigliari sì unisce al loro cordoglio. Nella foto lo vediamo quando ancora era negli avieri per il serviuzio di leva prima di essere richiamato per essere assegnato alla Divisione Acqui. (OP)
Il 19 giugno u.s. a Pescantina ha intrapreso il suo ultimo viaggio a 88 anni il reduce di Cefalonia, Aldo Zenorini.
Essendo capoposto in montagna ebbe la fortuna di evitare di subire la sorte dei tanti commilitoni uccisi dai Tedeschi. Si prodigò, in prigionia, per aiutare i tanti feriti e fortunatamente si salvò quando la nave che lo avrebbe portato in Polonia, saltò in Aria e si inabisso. Fu a Fianco di Don Luigi Ghilardini nella pietosa missione di riesumazione delle salme dei nostri soldati in territorio greco. al suo funerale era presente con il labaro della sezione Veronese il presidente Claudio Toninel nonchè vice presidente Nazionale.
L'Associazione Nazionale Divisione Acqui si unisce al dolore della sua famiglia per la perdita di un importante testimone di quella vicenda. (OP)